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Dichiarazione di Giorgio NAPOLITANO

Alla data della dichiarazione: Pres. della Repubblica


 

"Non è il decreto che ho firmato".

  • (17 giugno 2008) - fonte: Repubblica - Claudio Tito - inserita il 17 giugno 2008 da 31

    "Se quelle norme fossero state contenute nel decreto fin dall'inizio, non l'avrei firmato".
    Questa volta il clima bipartisan è svanito di colpo.
    La "sintonia" con il Quirinale di cui spesso aveva parlato Silvio Berlusconi si è trasformata nel primo conflitto istituzionale della legislatura.
    Giorgio Napolitano ha sbattuto i pugni sul tavolo.
    Lo ha fatto prima con il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta, e poi con il ministro della Difesa Ignazio La Russa.
    Perché quei due emendamenti presentati al Senato per "congelare" alcuni processi tra cui quelli che riguardano il presidente del consiglio, lo hanno mandato su tutte le furie.
    Al punto di far sapere, appunto, che quelle misure avrebbero reso impossibile l'avallo del Colle.
    E che ora potrebbe indurre il capo dello Stato ad una valutazione critica della legge.
    Se davvero verrà approvata.

    Uno scontro che al momento non ha precedenti.
    Anche perché la reazione del Cavaliere non è stata affatto conciliante.
    Prima ha sferzato gli alleati recalcitranti (la Lega in particolare) e poi, dopo che Letta gli ha riferito le tante perplessità del Colle, ha voluto spedire un segnale pubblico proprio a Napolitano.
    E già, perché la lettera al presidente del Senato, Renato Schifani, in realtà ha come reale destinatario il capo dello Stato.
    In un primo momento, addirittura, il premier aveva optato per una sorta di "messaggio alla nazione" in televisione.
    Poi si è arrivati alla soluzione "più solenne": la missiva alla seconda carica dello Stato.
    "Perché questo non è più il tempo degli equivoci, questo è il tempo della chiarezza - si è sfogato telefonicamente da Arcore con i suoi - . Tutti i sondaggi mi danno il 68% di gradimento.
    Io parlo al Paese e non nei corridoi della politica".
    Un modo per sfidare Napolitano anche sul piano della popolarità.
    Certo, nel frattempo ha dovuto fronteggiare i dubbi degli alleati.
    Sia la Lega che Alleanza nazionale nella riunione svoltasi la scorsa settimana a Via del Plebiscito, gli avevano chiesto di "metterci la faccia".
    "Non puoi pensare - aveva insistito il ministro dell'Interno, Roberto Maroni - che ti copriamo su una cosa del genere e tu rimani coperto".
    "Allora - ha annunciato ieri l'inquilino di Palazzo Chigi dopo aver parlato con Umberto Bossi - mi assumo tutte le mie responsabilità.
    Spiegherò alla gente a cosa serve quella norma.
    Parlo al Paese. E voglio vedere se qualcuno avrà il coraggio di dissociarsi".

    In effetti, per ora, i partner non hanno preso le distanze.
    Il presidente della Repubblica, però, sì.
    Il nodo a questo punto si sta stringendo proprio nelle stanze del Quirinale.
    Napolitano sta studiando le possibili soluzioni per evitare che le norme "salva-premier" diventino effettive.
    Ha incaricato gli uffici giuridici di valutare varie possibilità.
    Anche quella di controfirmare "in parte" il provvedimento. Un rinvio "parziale" alle Camere.
    Una strada, però, difficilmente praticabile.

    Sul tavolo c'è pure la "bocciatura" integrale del testo.
    Una "extrema ratio" che Napolitano non scarta ma di cui coglie le controindicazioni: equivarrebbe a far saltare tutte le misure contro la criminalità e rimettere in libertà i tanti malviventi chi si trovano in carcere grazie alle aggravanti inserite nel decreto.
    Tant'è che a Letta, il presidente della Repubblica ha chiesto nuovamente di ritirare quei due emendamenti.
    "Presentati senza consultarmi".
    Con una procedura "poco istituzionale" di cui la prima carica dello Stato si è lamentato, nel giro di pochissimi giorni, in almeno altre due circostanze:
    in occasione del decreto sulle prostitute "per cui ho dovuto intervenire su Schifani"; e sull'impiego dei militari nelle città per cui "ho dovuto ricordare che sono io il capo dell'esercito e solo in quel modo il ministro La Russa ha deciso di modificare l'intervento".
    Ma da Palazzo Chigi è stato scandito un altro "niet".
    Anzi, Berlusconi vuole sfidare Napolitano con un voto formale in Consiglio dei ministri sui due emendamenti.
    Per il Cavaliere, del resto, questo è passaggio cruciale.
    Che fa perno sul processo Mills. "Vogliono imbrigliarmi", ripete da giorni.
    Soprattutto "vogliono condannarmi - ragionava ieri - per impedirmi una futura elezione al Quirinale.
    È questo il loro obiettivo. Vogliono azzopparmi in vista del 2013".
    Il premier e i suoi legali, infatti, si aspettano una sentenza di condanna a 6-8 anni di detenzione per corruzione entro il prossimo mese di ottobre.
    Ben prima della prescrizione del processo prevista per la fine del 2009.
    E ben prima che il famigerato "Lodo Schifani", modifica costituzionale, possa diventare legge dello Stato.
    "E io - ha ammonito - non ho tutto questo tempo".

    Fonte: Repubblica - Claudio Tito | vai alla pagina
    Argomenti: Berlusconi, presidente Napolitano, Governo Berlusconi, ministro Interno, ministro della Difesa, esercito | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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Commenti (1)

  • Inserito il 17 giugno 2008 da 31
    Una simile mancanza di dialogo tra il Capo dello Stato - costretto a dire:"sono io il Capo dell'Esercito" - e il Presidente del Consiglio, è un fatto grave:"Uno scontro che al momento non ha precedenti".

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