Abbandono scolastico, un miglioramento che non dice tutto #conibambini

Cala l’abbandono scolastico nel 2023, in linea con il trend seguito negli ultimi anni. Anche sulla dispersione implicita, dopo il Covid si registrano i primi segnali positivi. Non va però trascurata l’ampiezza dei divari sociali e territoriali che restano nel paese.

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Nel 2023 l’abbandono scolastico in Italia è sceso al 10,5%, in progressivo calo rispetto all’11,5% del 2022 e al 12,7% del 2021.

Si tratta di un dato indubbiamente positivo, perché conferma il percorso di progressivo avvicinamento del paese agli obiettivi europei. L’agenda Europa 2020 aveva previsto di contenere entro il 10% la quota di giovani tra 18 e 24 anni che hanno lasciato la scuola con al massimo la licenza media. Dopo la pandemia questa soglia è stata resa ancora più sfidante.

L’obiettivo continentale, in vista del 2030, è stato ulteriormente abbassato di un punto (9%) con una risoluzione del consiglio europeo del febbraio 2021. Vai a “Che cos’è l’abbandono scolastico”

Questo aggiornamento va quindi letto positivamente, perché segnala l’avvicinamento del paese ai target fissati in sede europea sull’abbandono dal sistema formativo.

In estate, segnali positivi sono arrivati anche sul fronte della cosiddetta dispersione implicita. A differenza dell’abbandono scolastico esplicito, parliamo della quota di ragazze e ragazzi che, pur completando il proprio percorso di studi, finisce la scuola con competenze di base inadeguate. Questa, esplosa durante la pandemia, è tornata a diminuire con gli ultimi risultati delle prove Invalsi, diffusi a luglio.

Tuttavia, restano almeno 3 motivi di preoccupazione. Primo, il tasso di abbandono scolastico registrato nel 2023 resta ai primi posti a livello europeo, essendo quinto su 27 stati.

Secondo, la dispersione implicita è tornata sotto i livelli pre-Covid, ma il recupero non è ancora completo in materie chiave come italiano e matematica. Il miglioramento necessita quindi di essere monitorato con attenzione nei prossimi anni, che consentiranno di verificare gli effetti educativi di lungo termine della pandemia sulle classi di età più giovani.

Terzo, il calo della dispersione esplicita e implicita non deve far trascurare i divari di diversa natura che restano nel paese e su cui è urgente intervenire. Gap sociali, di cittadinanza, di genere e territoriali che minano il percorso futuro di tante ragazze e ragazzi.

L’abbandono scolastico in Italia e in Ue nel 2023

Nonostante il calo, all’interno dell’Unione europea, l’Italia rientra tra i paesi dove il problema degli abbandoni precoci resta più consistente. Nel 2023 è il quinto paese con più abbandoni (10,5%), dopo Romania (16,6%), Spagna (13,7%), Germania (12,8%) e Ungheria (11,6%).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Eurostat

Si consolida quindi il quinto posto su 27 registrato già nel 2022, un posizionamento che era stato migliorativo rispetto al terzo rilevato nel 2021. E che comunque conferma il nostro paese ai primi posti – in ambito europeo – rispetto all’incidenza dell’abbandono scolastico precoce tra i più giovani.

Gli ampi divari nell’abbandono scolastico nel paese

Restano inoltre altri problemi piuttosto significativi, non solo nel confronto esterno con gli altri stati, ma nei divari interni al nostro paese.

In primo luogo, permane un forte gap di genere nell’incidenza delle uscite precoci dal sistema di istruzione. A fronte di una media di circa un giovane su 10 che abbandona, il rapporto sale di quasi 3 punti percentuali tra i maschi. Oltre il 13% dei ragazzi tra 18 e 24 anni ha infatti lasciato gli studi o la formazione prima del tempo.

13,1% il tasso di abbandono scolastico tra i maschi nel 2023. Tra le ragazze il fenomeno è più contenuto (7,6%).

Ancora più ampia è la distanza rispetto alla cittadinanza. Tra i giovani italiani, la quota di uscite precoci dal sistema educativo scende al 9%, rispetto al 10,5% medio nel 2023. Tra i ragazzi stranieri al contrario sale al 26,8%. Un’incidenza in calo rispetto all’anno precedente – nel 2022 la quota superava il 30% – ma comunque quasi tripla rispetto a quella dei cittadini italiani.

Costituisce un altro aspetto critico il permanere di divari piuttosto ampi in termini di abbandono scolastico tra i diversi territori del paese. È infatti più contenuto nel centro Italia (7%) e nel nord (dove è compreso tra 8 e 9%) rispetto al mezzogiorno. Nel sud continentale si attesta al 13,5%, mentre nelle isole raggiunge il picco massimo (17,2%).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Eurostat
(pubblicati: mercoledì 24 Aprile 2024)

Tra le regioni, spiccano infatti le due isole: in Sardegna l’incidenza degli abbandoni precoci raggiunge il 17,3%, in Sicilia il 17,1%. Tuttavia mentre nella seconda si registra una riduzione rispetto al 2022 (quando i giovani con al massimo la licenza media erano il 18,8%), nella prima si rileva un incremento: dal 14,7% del 2022 al 17,3% attuale. Seguono, con valori superiori al 16%, la provincia autonoma di Bolzano e la Campania.

17,3% il tasso di abbandono scolastico in Sardegna nel 2023.

L’incidenza è invece già inferiore al 9% in Piemonte, Basilicata, provincia autonoma di Trento, Lombardia, Molise, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Lazio e Umbria.

Dispersione implicita, un miglioramento da monitorare

Mentre il calo dell’abbandono vero e proprio della scuola è una tendenza piuttosto costante e consolidata degli ultimi due decenni, la dispersione implicita ha avuto un andamento del tutto diverso.

Parliamo della situazione in cui si trovano gli studenti che completano il proprio percorso di studi senza però aver raggiunto le competenze di base adeguate, nelle materie monitorate dall’istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo. Si distingue dalla dispersione cosiddetta “esplicita”. Quella che, nella sua forma più grave, consiste appunto nell’abbandono scolastico prima del raggiungimento del diploma o di una qualifica.

Negli anni dell’emergenza Covid, la quota di ragazzi di quinta superiore in dispersione implicita è cresciuta molto, passando dal 7,5% circa nel pre-Covid al 9,8% del 2021, con un picco tra gli studenti svantaggiati. Nel 2022 il trend si era sostanzialmente confermato (9,7%), mentre una traiettoria discendente si era iniziata a vedere – pur timida – nel 2023 (8,7%). Quest’anno, per la prima volta, si assiste a una contrazione che porta la quota di studenti di quinta con apprendimenti insufficienti nelle materie di base sotto i livelli pre-Covid.

6,6% gli studenti in dispersione implicita alla fine del secondo ciclo di studi nel 2024.

Risultati positivi da monitorare nei prossimi anni.

Un dato molto significativo e positivo, che però non deve far dimenticare gli sforzi ancora necessari per recuperare la situazione precedente la pandemia. Se si isolano gli studenti di quinta superiore con apprendimenti insufficienti in italiano, quasi il 44% non raggiunge livelli adeguati, e di questi il 18,7% si attesta su risultati del tutto inadeguati. In matematica queste due percentuali salgono rispettivamente al 47,5% e al 25,5%.

Da notare che, in entrambi i casi, si tratta di un miglioramento rispetto alla situazione pandemica. Tra 2021 e 2023 poco più della metà degli alunni (51-52%) aveva raggiunto i traguardi previsti in italiano al termine del secondo ciclo d’istruzione; nel 2024 la quota sale al 56%. Stessa tendenza positiva in matematica, dove i risultati adeguati passano dal 50% in fase Covid al 52% attuale. Eppure la situazione pre-Covid in queste due materie non appare ancora pienamente recuperata, e andrà monitorata nel tempo. Nel 2019 risultati positivi erano raggiunti dal 64% dei ragazzi di quinta in italiano e dal 61% in matematica.

64% gli studenti di V superiore con risultati adeguati in italiano nel 2019. Oggi sono il 56%.

Inoltre, i dati Invalsi consentono di ricostruire i divari sociali e territoriali su cui occorre intervenire. Il 56% di studenti che termina la quinta superiore con risultati positivi in italiano non è che una media tra l’80% dei licei classici, scientifici e linguistici, il 43% dei tecnici e il 20% dei professionali. Un aspetto da non sottovalutare, dato che la scelta dell’indirizzo di studi è spesso l’esito di un’autoselezione da parte dei ragazzi in base alla condizione familiare.

16,1% dei diplomati al liceo nel 2023 sono figli di lavoratori esecutivi. Nei professionali l’incidenza è più che doppia (34,3%).

Anche a livello territoriale, restano regioni dove la quota di dispersione implicita supera il 10% degli studenti di quinta, come Campania (15,7%) e Sardegna (11,3%). La quota di studenti con risultati inadeguati in italiano, in media del 44%, supera il 50% nel mezzogiorno, con differenze anche interne alle regioni.

Si sottolinea, in primis, la radicata permanenza di forti disparità territoriali, non solo tra Nord e Sud (a volte tra Nord, Centro e Sud), ma anche tra regioni o province.

Ricostruire a livello territoriale fine questo tipo di informazione è fondamentale ma anche molto complesso. Tuttavia, in attesa dei nuovi dati provenienti dalla rilevazione 2024, i dataset Invalsi offrono già alcune indicazioni in questa direzione, anche se per gli anni in cui era in corso la pandemia. Attraverso di essi, possiamo verificare la quota di studenti di quinta superiore che non raggiungeva in quella fase un livello adeguato in italiano. Nell’anno scolastico 2021/22, spicca l’incidenza dei bassi apprendimenti nei capoluoghi del mezzogiorno rispetto a quelli del centro nord.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Invalsi
(pubblicati: mercoledì 28 Settembre 2022)

Divari territoriali ampi nella quota di studenti con risultati inadeguati alla fine delle superiori.

Se si considera la percentuale di studenti che si attestano ai livelli di competenza 1 e 2 (inadeguati rispetto al livello di apprendimento previsto in italiano in V superiore), in due città la quota ha superato i due terzi del totale durante la pandemia: Crotone (68,18%) e Brindisi (66,16%). Seguono, con oltre il 60% di studenti con apprendimenti insufficienti in quinta superiore, le città di Caserta, Cosenza, Agrigento, Enna, Catanzaro, Napoli, Vibo Valentia, Messina, Sassari, Caltanissetta, Palermo e Catania.

Al contrario, i livelli più contenuti tra i capoluoghi si registrano a Belluno (meno di uno studente su 4 con risultati inadeguati in italiano), seguita da Lecco, Cuneo, Brescia, Aosta e Pordenone.

L’importanza di nuovi dati per misurare la dispersione

L’indicatore europeo sull’abbandono scolastico – pur utile per confrontare i progressi dei diversi paesi – risente di forti limitazioni. Esso infatti registra un insuccesso formativo solo alla fine del percorso di studi, senza però individuare le cause che ne sono alla base. E lo verifica a distanza di anni, non quando effettivamente accade l’uscita dal sistema educativo.

Serve un approccio innovativo che consenta di indagare anche a livello territoriale fine i fenomeni collegati con l’abbandono. Come le assenze prolungate, i trasferimenti in corso d’anno, i bassi apprendimenti, le ripetenze.

In questo senso, i dati Invalsi rappresentano un punto di partenza utile, soprattutto per dare declinazione territoriale a fenomeni connessi con la dispersione. Ma è altrettanto importante avanzare nella pubblicazione di nuovi dati sulla partecipazione scolastica di ragazze e ragazzi. Per intervenire tempestivamente, con politiche pubbliche e interventi sociali adeguati alla situazione reale sul territorio, comune per comune, quartiere per quartiere.

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I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi agli apprendimenti sono di fonte Invalsi.

Foto: Jeswin Thomas (Unsplash)Licenza

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