Come il governo Meloni sta riorganizzando lo stato Mappe del potere
A differenza dei 2 esecutivi che lo hanno preceduto il governo Meloni non ha istituito nuovi ministeri, intervenendo tuttavia sulla loro organizzazione interna. Una riorganizzazione consistente che ha coinvolto alcune delle strutture più importanti dello stato.
martedì 5 Settembre 2023 | Potere politico
- Il governo sta procedendo a modificare la struttura di molte amministrazioni di vertice. In 6 ministeri con un intervento legislativo.
- Presso i ministeri dell'università e del turismo viene aumentato il numero di direzioni generali.
- Il ministero dell'economia passa da 4 a 6 dipartimenti.
- I ministeri della salute, della cultura e del lavoro sono passati da un'organizzazione per direzioni generali a una per dipartimenti.
- Ognuna di queste modifiche comporta la nomina di nuovi dirigenti di vertice e, in alcuni casi, a cascata anche degli altri dirigenti.
Al contrario dei due governi precedenti, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni non ha, almeno per il momento, istituito nuovi ministeri. Almeno in principio infatti il governo è sembrato limitarsi a un cambio di denominazione.
Tuttavia, nel corso dei mesi l’attività dell’esecutivo volta a modificare la struttura degli apparati di vertice dello stato (i ministeri appunto) si è intensificata. Tralasciando gli interventi relativi alla governance del Pnrr, che per definizione non sono permanenti e rimarranno attivi solo per la durata del piano, le modifiche introdotte dall’esecutivo in diversi ministeri sono tutt’altro che marginali.
6 i ministeri su cui il governo Meloni è intervenuto a livello strutturale.
Si tratta dei ministeri dell’economia, della salute, del lavoro, della cultura, dell’università e del turismo. In alcuni casi certo gli interventi sono stati più modesti, consistendo sostanzialmente in un aumento degli uffici di vertice. In altri, la modifica ha riguardato la struttura stessa del dicastero che, a seconda dei casi, può avere al proprio vertice dei dipartimenti o delle direzioni generali.
Le azioni adottate nei confronti di questi dicasteri in ogni caso non sono esaustive dell’opera di riorganizzazione avviata dall’esecutivo. Questi infatti sono i casi in cui la maggioranza è intervenuta per legge (o meglio per decreto legge), dovendo modificarne le caratteristiche fondamentali definite dal decreto legislativo 300/1999. A queste misure però bisognerebbe aggiungere quelle per cui non è stato necessario modificare le leggi. Nel corso degli ultimi mesi infatti il consiglio dei ministri (Cdm) ha esaminato preliminarmente la modifica dei regolamenti di organizzazione anche di altri dicasteri. Ovvero i ministeri degli esteri, dell’interno, della difesa, delle infrastrutture, delle politiche agricole e della transizione ecologica.
Nuove direzioni generali per nuovi ministeri
In 3 dei 6 ministeri in cui si è intervenuti più incisivamente le modifiche hanno, tra le altre cose, aumentato il numero di strutture di vertice.
3 i ministeri che hanno aumentato il numero delle proprie strutture di vertice.
Sia il ministero dell’università che quello del turismo sono dicasteri recenti, che fino a pochi anni fa facevano parte di altre strutture. Fino al 2020 le competenze in materia di università e ricerca erano gestite da un dipartimento del ministero dell’istruzione e dell’università. Una struttura articolata a sua volta in 3 direzioni generali. Con la nascita del nuovo dicastero però le direzioni generali sono da subito aumentate diventando 6 (incluso il segretario generale). Poi, con il decreto legge 44/2023, le direzioni generali sono diventate 8, almeno sulla carta. Attualmente, infatti, non è ancora entrato in vigore il nuovo regolamento del dicastero.
Le competenze del ministero del turismo invece fino al 2021 erano esercitate dal ministero della cultura, attraverso un’apposita direzione generale. Le sue articolazioni dunque si limitavano solo a tre uffici dirigenziali di livello non generale. Con la nascita del ministero invece sono state previste 4 direzioni generali (incluso il segretario generale). A fine febbraio 2023, con l’approvazione del Dl 13/2023, questo numero è cresciuto, passando a 5 e, solo due mesi dopo, è aumentato ancora arrivando a 7 (Dl 44/2023). Anche in questo caso comunque il regolamento non è ancora entrato in funzione. Il 3 agosto tuttavia il testo è stato approvato in esame preliminare dal consiglio dei ministri.
Due nuovi dipartimenti per il ministero dell’economia
Le novità più importanti riguardano il ministero dell’economia e delle finanze (Mef), che d’altronde rappresenta, da alcuni punti di vista, il dicastero più importante della struttura statale. Il Mef nasce nel 1999 dalla fusione del ministero del tesoro e da quello delle finanze e sin da quel momento la legge gli ha attribuito un massimo di 5 dipartimenti. Dopo il primo periodo di attività però il regolamento del dicastero (sia nella versione del 2008 che in quelle successive) ha definito una struttura composta di 4 dipartimenti:
- dipartimento del tesoro;
- dipartimento della ragioneria generale dello stato:
- dipartimento delle finanze;
- dipartimento dell’amministrazione generale.
Questo modello organizzativo è rimasto stabile fino a pochi mesi fa quando il ministero ha chiesto al consiglio di stato un parere su una nuova bozza di regolamento. Il testo prevedeva l’introduzione del dipartimento dell’economia, scorporando alcune competenze del tesoro. La corte ha espresso parere favorevole (sez. consultiva per gli atti normativi, affare n. 00495/2023) pur suggerendo numerose modifiche ed esprimendo perplessità rispetto a un’operazione che si limita a scorporare da un dipartimento strutture già esistenti e funzionanti.
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La relazione illustrativa si limita a motivare tale rilevante intervento con l’intendimento di ricondurre sotto un’unica struttura, in un’ottica di razionalizzazione delle funzioni, peculiari attività del ministero svolte in precedenza dal dipartimento del tesoro, né fornisce elementi che consentano di riconnetterlo alle priorità e alle relative attività strategiche contenute nell’atto di indirizzo del 26 gennaio scorso, il quale del resto tace sul punto.
Nonostante il parere favorevole, però, il testo non è mai effettivamente entrato in vigore. Questo perché nel frattempo il governo aveva adottato il Dl 44/2023, con il quale il numero massimo di dipartimenti del Mef passava da 5 a 6. Una modifica per cui è stato necessario elaborare un nuovo regolamento, che è stato sottoposto all’esame del consiglio dei ministri lo scorso 26 luglio.
Quando quest’atto sarà effettivamente pubblicato in gazzetta ufficiale ai 4 dipartimenti attualmente operativi si aggiungeranno il dipartimento dell’economia e il dipartimento della giustizia tributaria. Questa struttura assumerà competenze che attualmente sono esercitate dal dipartimento delle finanze e in particolare dalla direzione generale per la giustizia tributaria, incrementando i costi amministrativi del Mef di circa 2,4 milioni di euro l’anno. Una decisione che, stando alla documentazione parlamentare, deve essere letta alla luce della riforma della giustizia tributaria (l. 130/2022) prevista anche dal Pnrr (misura M1C1-35).
La proliferazione delle strutture
Le modifiche introdotte in questi dicasteri hanno certamente una propria buona motivazione. Resta il fatto però che nel corso degli ultimi 3 anni una direzione generale del ministero della cultura è diventata un ministero composto di 6 direzioni generali, un dipartimento del ministero dell’istruzione è stato trasformato in un ministero con 7 direzioni generali e i dipartimenti del Mef sono passati da 4 a 6.
Aumentare le posizioni di vertice vuol dire necessariamente un aumento della spesa, a meno che non si tagli da qualche altra parte.
A ognuno di questi passaggi corrisponde ovviamente un aumento del numero di posizioni di vertice e di conseguenza, un aumento dei costi o una riduzione di altre posizioni dirigenziali di livello inferiore. Per ciascuna di queste strutture poi si dovrà provvedere alle nomine dei dirigenti di vertice e, a cascata, di quelli che ricoprono le posizioni subordinate.
Vale la pena di ricordare comunque che uno dei principi alla base della riforma della pubblica amministrazione di fine anni ’90 era quello di porre un freno alla proliferazione del numero di ministeri e strutture burocratiche. Un fatto da tenere presente quando si considerano le ragioni particolari che sottendono la creazione di nuovi ministeri, dipartimenti o direzioni generali.
La preferenza per i dipartimenti
In altri 3 casi le norme adottate nel corso dell’ultimo anno non hanno portato alla proliferazione del numero di strutture di vertice quanto, piuttosto, al passaggio da un’organizzazione per direzioni generali a una per aree dipartimentali.
3 i ministeri che sono passati da un’organizzazione per direzioni generali a una per dipartimenti.
A differenza delle strutture organizzate per direzioni generali, in cui ciascuna di queste fa capo al segretario generale, un’organizzazione per dipartimenti presuppone la suddivisione delle materie di competenza in aree omogenee. Per ognuna di queste il vertice amministrativo è rappresentato dal capo dipartimento che come suo superiore ha soltanto il ministro.
Si tratta in tutti e 3 i casi di organizzazioni importanti, ovvero dei ministeri del lavoro, della salute e della cultura.
Il ministero della salute è il primo ad aver avviato questo iter, con l’adozione del Dl 173/2022, anche se ad oggi non è ancora stato adottato il regolamento. In ogni caso dovrebbe essere organizzato tramite 4 dipartimenti. Viene da chiedersi certo se questa compartimentazione per aree omogenee non sia in parziale contraddizione con la strategia one health adottata dal ministero stesso, che prevede un’approccio integrato tra le diverse discipline. In ogni caso questo dicastero era già stato strutturato per dipartimenti in passato.
Nei mesi successivi si è poi intervenuti sul ministero del lavoro, passato da 10 direzioni generali a 3 dipartimenti, e sul ministero della cultura, passato da 12 direzioni generali a 4 dipartimenti.
Spoils system fuori tempo massimo
Come accennato, i ministeri che hanno aggiunto nuovi dipartimenti o direzioni generali si troveranno ora a dover nominare i dirigenti di queste strutture. Ma quelli che hanno invece modificato il tipo di organizzazione dovranno rinominare tutti i nuovi vertici. Una specie di spoils system fuori tempo massimo.
La creazione dei dipartimenti poi può comportare anche la modifica delle strutture sottostanti e dunque, a cascata, un numero considerevole di nuove nomine. È quello che accadrà ad esempio presso il ministero della cultura. Il Dl 105/2023 infatti prevede esplicitamente che con l’introduzione del nuovo regolamento decadranno non solo gli incarichi dirigenziali generali ma anche quelli non generali. Una scelta questa che ha innescato negli scorsi giorni un’interessante dibattito acceso dal professor Sabino Cassese sul Corriere della sera e proseguito prima con un intervento del senatore Matteo Renzi e poi del ministro Gennaro Sangiuliano.
Foto: Palazzo delle finanze – Wikipedia