Cosa ci dicono i voti di fiducia al governo Meloni Il confronto in parlamento
L’esecutivo ha ottenuto la fiducia delle camere. Ma la maggioranza solida emersa da queste votazioni potrebbe rivelare nel tempo alcune falle.
lunedì 31 Ottobre 2022 | Potere politico
- Il governo ha ottenuto la fiducia dal parlamento. Ma i numeri non sono così solidi come sembra.
- Alla camera la maggioranza è ampia ma lontana dai 2/3 necessari per modificare la costituzione senza passare dal referendum.
- Al senato lo scarto è ridotto. Il centrodestra dovrà fare attenzione nella scelta dei sottosegretari.
- Riguardo i singoli voti, nessun senatore a vita si è espresso e il gruppo misto ha votato in modo eterogeneo.
- La tenuta dipende dalla capacità del centrodestra di rimanere unito nonostante alcune divergenze.
Come noto, la scorsa settimana il governo Meloni ha incassato la fiducia dal parlamento. I voti favorevoli sono stati numerosi sia alla camera che al senato, come non accadeva dal 2008.
Un risultato che, come abbiamo raccontato, è stato possibile grazie alla vittoria netta della coalizione di centrodestra alle elezioni. Esito elettorale che peraltro ha reso possibile la nascita dell’esecutivo in tempi estremamente brevi. Soprattutto in confronto a quanto avvenuto nella precedente legislatura, quando passarono circa 3 mesi dall’esito delle elezioni all’effettivo ingresso in carica del primo governo Conte.
57,8% i voti favorevoli al governo Meloni sul totale degli appartenenti a camera e senato.
In tutto il parlamento i voti favorevoli sono stati 350, i contrari 233 e gli astenuti 10. In 11 erano assenti o in missione. L’esito ci dice dunque che il governo Meloni a oggi ha i numeri per andare avanti potenzialmente per tutta la legislatura. Tuttavia, analizzando più nel dettaglio l’esito delle votazioni possiamo notare degli elementi interessanti.
In primo luogo, la maggioranza di centrodestra da sola non ha i numeri per riformare la costituzione in senso presidenziale senza che sia dato luogo a un referendum confermativo. Se lo vorrà fare, come annunciato in campagna elettorale, dovrà coinvolgere anche le opposizioni. Inoltre, va sottolineato che i numeri dell’alleanza di governo al senato non sono poi così solidi come potrebbe sembrare. E con la nomina dei sottosegretari rischiano anche di diminuire.
Come si sono espressi i gruppi
Alla camera la maggioranza si regge su numeri rassicuranti. Considerando solamente i voti favorevoli di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, il governo ha infatti incassato ben 225 voti. Un numero molto superiore alla maggioranza assoluta che si attesta a 201 e che dovrebbe mettere il governo al riparo da incidenti di percorso.
Ai voti dei 3 partiti principali della coalizione inoltre se ne sono aggiunti altri 10 provenienti dal gruppo misto. Si tratta in particolare degli appartenenti alla componente Noi moderati – Maie, la cui formazione come gruppo autonomo (così come nel caso dell’alleanza Verdi-Sinistra) è stata autorizzata solo successivamente alla votazione e in deroga al regolamento attualmente in vigore alla camera che richiede l’adesione di almeno 20 deputati per la formazione di un gruppo autonomo. A questi poi si aggiunge il voto di Michela Vittoria Brambilla. Attualmente iscritta al misto ma storica esponente di Forza Italia.
Il margine rispetto alla maggioranza assoluta è quindi di 34 voti. Un distacco ampio ma non abbastanza da raggiungere i 2/3 della camera (267), necessari per modificare la costituzione senza passare dal referendum.
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Anche il senato ha conferito la propria fiducia al governo. Rispetto a Montecitorio però, qui i numeri della maggioranza sono più bassi, per quanto comunque non risicati. Anche in questo caso nessuna sorpresa. Tutti i senatori del centrodestra (fatta eccezione per il presidente dell’aula La Russa) hanno espresso il proprio sostegno al governo.
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Poiché nel conteggio vanno tenuti presenti anche i 6 senatori a vita, il margine del centro-destra rispetto alla maggioranza assoluta (103) è solo di 12 voti.
Dato questo contesto, la coalizione dovrà fare attenzione a nominare i sottosegretari. Si tratta infatti di ruoli estremamente importanti per il funzionamento del governo, ma che comportano una scarsa partecipazione ai lavori e alle votazioni delle camere.
Durante il governo Draghi, viceministri e sottosegretari erano 40. Salvo pochissime eccezioni, questi incarichi sono stati ricoperti da esponenti che occupavano anche un seggio in parlamento. C’è da dire che quando il governo ne ha avuto bisogno, i suoi componenti che facevano anche parte del parlamento non hanno mai fatto mancare il loro appoggio. Evenienza che si è verificata spesso, ad esempio, durante il governo Conte II. Tuttavia il centrodestra dovrà distribuire in maniera oculata queste posizioni tra deputati e senatori, per non rischiare di incappare in incidenti di percorso.
Il centrodestra non ha i numeri per modificare la costituzione da solo.
Com’è evidente inoltre, anche in questo caso rimane lontana la maggioranza dei 2/3. Un traguardo impossibile da raggiungere, sia alla camera che al senato, anche con l’aggiunta dei voti del cosiddetto terzo polo che, per bocca di alcuni dei suoi leader, aveva aperto alla possibilità di appoggiare alcune riforme istituzionali.
Come hanno votato i singoli deputati
Finora ci siamo soffermati sull’esito finale dei voti di fiducia. Vediamo adesso più nel dettaglio come si sono espressi i singoli componenti delle camere. Innanzitutto possiamo osservare che durante le votazioni si sono registrate alcune defezioni, sia nelle file della maggioranza che in quelle delle opposizioni. Alla camera, per quanto riguarda il centrodestra, i voti mancanti sono da attribuire al presidente dell’aula (che di norma non prende parte alle votazioni) Lorenzo Fontana e a due deputati di Forza Italia che erano “in missione”. Si tratta del neo ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin e di Ugo Cappellacci.
Anche i gruppi dell’opposizione si sono espressi in maniera compatta, votando contro il governo senza particolari sorprese. Le assenze in quest’ala di Montecitorio sono state 3: Vincenzo Amendola e Roberto Morassut del Partito democratico e Dario Carotenuto del Movimento 5 stelle.
Da approfondire poi il comportamento del gruppo misto che per definizione contiene al suo interno posizioni eterogenee. In particolare sono 5 i deputati del misto che non hanno votato la fiducia al governo, astenendosi. Si tratta della componente delle minoranze linguistiche, composta da Renate Gebhard, Franco Manes, Manfred Schullian e Dieter Steger. A loro si è aggiunto anche Francesco Gallo che, al pari di Brambilla, non è iscritto a nessuna componente.
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FONTE: elaborazione openpolis su dati camera e senato
(ultimo aggiornamento: giovedì 27 Ottobre 2022)
Passando al senato, abbiamo già introdotto il tema dei senatori a vita che contribuiscono ad aumentare la soglia della maggioranza assoluta. Nell’analisi sulla tenuta della coalizione di governo c’è da dire però che questi esponenti non partecipano in maniera assidua ai lavori delle aule. Generalmente la ragione è da attribuire all’età avanzata, a problemi di salute o altri impegni. Una dinamica che si è confermata anche in questo caso. Renzo Piano infatti era assente al momento del voto. Mentre Liliana Segre, Carlo Rubbia e Giorgio Napolitano risultavano in missione.
Elena Cattaneo – che già in passato aveva manifestato posizioni più vicine all’ala progressista del parlamento – si è astenuta. Interessante da questo punto di vista anche la posizione di Mario Monti che, pur avendo espresso apprezzamenti per molte delle linee programmatiche del governo, si è astenuto.
Inoltre, anche a palazzo Madama si sono astenuti i rappresentanti delle minoranze linguistiche, in questo caso riuniti nel gruppo Per le autonomie. Si tratta di Meinhard Durnwalder, Dafne Musolino e Juliane Unterberger. Atri due appartenenti al gruppo, Luigi Spagnolli e Pietro Patton, hanno invece votato contro il governo.
Tra coloro che non hanno partecipato al voto, infine, Celestino Magni (misto, in missione) e Tatiana Rojc (Pd).
Dichiarazioni dei leader
Un altro elemento da tenere in considerazione riguarda l’effettiva capacità della coalizione di rimanere compatta. Come del resto ha sottolineato il capogruppo della Lega al senato Massimiliano Romeo nel suo intervento. È evidente infatti che per quanto il centrodestra si sia presentato alle elezioni unito e con un programma unico, le differenze di posizione su più temi ci sono. Almeno stando alle dichiarazioni rilasciate dai leader.
Diversità che peraltro erano già emerse durante la campagna elettorale. Per esempio riguardo il piano nazionale di ripresa e resilienza, come abbiamo raccontato in un articolo precedente. Nonostante tutte le forze del centrodestra fossero d’accordo sulla necessità di rivedere il Pnrr, le posizioni su come farlo erano un po’ diverse.
Senza dimenticare che anche nella composizione del consiglio dei ministri le cronache hanno riportato delle tensioni tra gli alleati, con Lega e Forza Italia che sono state costrette a rinunciare ad alcune cariche che avevano rivendicato.
A ciò si aggiunga che la stessa presidente Meloni, nei suoi interventi in aula, ha manifestato posizioni più caute rispetto a quanto dichiarato in campagna elettorale, soprattutto in ambito economico. Un esempio è il discorso alla camera per la fiducia, durante il quale ha sottolineato che le priorità oggi sono le misure a supporto dei cittadini su carburante e bollette.
Un impegno finanziario imponente che […] ci costringerà a rinviare altri provvedimenti che avremmo voluto avviare già nella prossima legge di bilancio.
Anche in questi ultimi giorni sono emerse posizioni diverse da parte degli alleati. Per esempio riguardo l’aumento al limite del contante, con FdI e Lega che sembrano spingere a favore di questa misura e Forza Italia che invece frena.
Altro elemento di fondamentale importanza sarà inoltre quello del posizionamento internazionale. Se da un lato, almeno in via ufficiale, tutte le forze politiche hanno condannato l’invasione dell’Ucraina, dall’altro le ricette proposte su come muoversi nello scacchiere internazionale appaiono diverse.
Da questo punto di vista proprio la presidente del consiglio è apparsa la più ferma nel sostegno incondizionato al popolo ucraino e nella volontà di svolgere un ruolo da protagonista nei tavoli negoziali europei e internazionali. Su questo aspetto invece le posizioni di Lega e Forza Italia sembrano più orientate a cercare un compromesso per il cessate il fuoco e arginare così i danni economici che la guerra sta arrecando anche al nostro paese.
Un ultimo spunto ce lo fornisce infine l’intervento in senato di Silvio Berlusconi, il primo dopo 9 anni. Il presidente di Forza Italia è tornato a parlare di uno dei suoi cavalli di battaglia, quello della riforma della giustizia. Il leader azzurro però nel suo discorso non ha fatto alcun cenno alla riforma che stava portando avanti la ministra della giustizia uscente Marta Cartabia. Una riforma prevista dal Pnrr e che peraltro si trova in una fase avanzata di definizione. Alla fine di settembre infatti il consiglio dei ministri uscente aveva approvato i decreti legislativi che avrebbero dovuto dare attuazione alla riforma. Metterci mano a questo punto significherebbe con ogni probabilità fallire uno dei traguardi che il nostro paese è tenuto a raggiungere per il Pnrr entro la fine dell’anno.