Cooperazione Italia, l'urgenza di una nuova prospettiva
4. Cooperazione e missioni internazionali, un problema di coerenza
La cooperazione allo sviluppo è una materia complessa, che persegue obiettivi specifici attraverso mezzi e strumenti propri. Tuttavia per comprendere a pieno lo stato della politica di cooperazione e i suoi possibili sviluppi è necessario calarla nel quadro più ampio della politica estera di ciascun paese.
La […] «cooperazione allo sviluppo», è parte integrante e qualificante della politica estera dell’Italia.
L’Italia tuttavia non è un attore isolato e nel quadro internazionale si muove all’interno di vari framework multilaterali tra i quali particolarmente rilevante è quello europeo. La politica di esternalizzazione delle frontiere adottata negli ultimi anni dall’Unione europea tuttavia, mette seriamente in dubbio la coerenza tra alcuni interventi all’estero e la politica di cooperazione.
Appare dunque importante leggere sotto questa luce le iniziative di politica estera e di difesa che l’Italia ha intrapreso o che intende intraprendere. Valutando per quanto possibile il loro livello di coerenza con gli interventi di aiuto pubblico allo sviluppo.
A questo proposito a luglio la camera ha approvato definitivamente quello che ancora oggi viene impropriamente chiamato “decreto missioni”.
Leggi le delibere del governo su
Proprio a causa dello stretto collegamento tra la politica di sicurezza e la politica di cooperazione, all’interno di questo testo è inclusa anche una parte dedicata agli “Interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione”.
Nonostante la sua importanza, il dibattito politico si è acceso su questo tema solo negli ultimi giorni prima della votazione. Grazie ad alcune organizzazioni della società civile e ad alcuni giornalisti il tema delle missioni internazionali è stato infatti portato all’attenzione dell’opinione pubblica, seppur per pochi giorni.
Il parlamento e le missioni internazionali
Fino ad alcuni anni fa l’approvazione di nuove missioni internazionali e la proroga di quelle in corso avveniva tramite decreto legge. Un atto del governo con forza di legge che doveva poi essere approvato o rigettato dal parlamento.
Per questo ancora oggi quando si parla del rifinanziamento delle missioni è frequente sentire il termine “decreto-missioni”. Nel 2016 tuttavia la legge 145 ha ridefinito la materia istituendo un percorso preciso che non necessita dell’approvazione, ogni anno, di un nuovo atto legislativo. Oggi infatti il parlamento approva o respinge le proposte del governo attraverso una risoluzione, ovvero un atto di indirizzo che tuttavia assume un valore vincolante alla luce di quanto previsto dalla legge 145 (art. 2).
Il fatto che le camere autorizzino le missioni internazionali attraverso un atto di indirizzo, piuttosto che con un atto avente forza di legge, in realtà non ne depotenzia l’azione. A ben vedere la rilevanza politica del parlamento su questo tipo di atti è andata riducendosi nel tempo già prima della riforma del 2016.
Il dibattito sulle missioni
Eppure fino ad alcuni anni fa si trattava era un argomento con un forte peso politico. Nel 2007 ad esempio il secondo governo Prodi non raggiunse la maggioranza al senato proprio su questo tema, rischiando una crisi di governo. Quando poi l’anno successivo la crisi si manifestò davvero l’on. Turigliatto riprese proprio questo argomento, tra altri, per motivare il suo voto contrario alla questione di fiducia.
Tuttavia la politica estera e di sicurezza sono diventate, nel corso degli anni, sempre più marginali nel dibattito politico. Tanto che nell’ultimo periodo le risoluzioni sulle missioni internazionali rischiano di essere approvate senza alcuna discussione pubblica sul tema.
Anche quest’anno in effetti l’approvazione di questo atto rischiava di passare del tutto inosservata. Eppure si tratta di un testo che definisce l’azione Italiana in contesti complessi e drammatici. Come il ritiro dall’Afghanistan, diventato così scottante solo poche settimane dopo l’approvazione delle risoluzioni, o il rapporto con la Libia, di cui pure si parla molto in tema di immigrazione.
Fortunatamente la pressione di alcune organizzazioni della società civile, di alcuni giornalisti e di qualche politico ha riportato il tema all’ordine del giorno, anche se tardivamente.
La missione di assistenza alla guardia costiera libica
Le maggiori criticità a livello politico sono state sollevate in merito a una specifica missione. Si tratta della proroga alla partecipazione di personale della guardia di finanza alla missione bilaterale di assistenza nei confronti delle istituzioni libiche preposte al controllo dei confini marittimi (scheda 48/2021).
La missione ha la durata di un anno. Prevede l’impiego di circa 50 militari (non tutti per l’intera durata della missione), di 3 vetture terrestri e di una navale. Il costo previsto per la missione è di circa 10 milioni e mezzo di cui 2,2 a valere sul ministero degli esteri e 8,3 a valere sul ministero dell’economia e delle finanze.
€ 10,48 mln il costo previsto per il 2021 della missione di assistenza alla guardia costiera libica.
Le critiche avanzate nei confronti di questa operazione sono molte. Intanto perché potenziare la guardia costiera libica significa rafforzare le sue capacità di trovare migranti in mare e riportarli in Libia. Un luogo considerato non sicuro dalle stesse Nazioni unite. Ma a questo si aggiungono le preoccupazioni sulla natura stessa di questo organo che è stato oggetto nel corso degli ultimi anni di molte inchieste giornalistiche e di organizzazioni internazionali. Inchieste che hanno fatto emergere in modo lampante come questa non possa in alcun modo essere considerata un attore affidabile.
Accordo Italia-Libia: scacco ai diritti umani in 4 mosse
Solo pochi giorni prima della discussione in aula in effetti l’Ong Sea Watch aveva diffuso un video in cui la guardia costiera libica sparava su una barca di migranti. L’operazione peraltro era svolta proprio su un’imbarcazione donata dall’Italia.
I voti alla camera
La prima risoluzione (prima firma Palazzotto – Liberi e uguali) votata alla camera apriva con una premessa molto critica sull’approccio italiano alla questione libica e più in generale sulla gestione del fenomeno migratorio. In aggiunta, nella parte del dispositivo, veniva negata al governo l’autorizzazione a procedere con la missione prevista nella scheda 48/2021. Come era facile attendersi tuttavia questa risoluzione ha ricevuto parere negativo da parte del governo. La camera l’ha dunque respinta con 376 voti contrari e solo 40 a favore.
La seconda risoluzione (prima firma Migliore – Italia viva) invece ha ricevuto parere favorevole da parte del governo. In questo caso però si è proceduto a votarla per parti separate. Nella prima votazione su questa risoluzione (la seconda in generale) la camera si è espressa sulle premesse e su buona parte delle schede che prevedono nuove missioni o la prosecuzione di quelle in corso.
In successive votazioni invece si è votato su missioni specifiche. Anche in questo caso è stato il voto sulla scheda 48 l’unico su cui un numero considerevole di deputati si sono espressi negativamente (34) o astenendosi (22). In ogni caso alla fine il testo è passato a larga maggioranza.
Le votazioni alla camera sul rifinanziamento delle missioni internazionali
Le tre principali votazioni in aula alla camera dei deputati sulle risoluzioni sull'autorizzazione a nuove missioni internazionali e proroga di quelle in corso.
FONTE: Openparlamento
(ultimo aggiornamento: martedì 20 Luglio 2021)
Il parlamento impegna il governo
Le missioni proposte dal governo quindi sono state tutte approvate. La risoluzione votata alla camera tuttavia ha quantomeno incluso delle richieste rivolte al governo.
Le deliberazioni [...] sono trasmesse dal Governo alle Camere, che tempestivamente le discutono e [...] autorizzano per ciascun anno la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali, eventualmente definendo impegni per il Governo, ovvero ne negano l'autorizzazione.
Per quanto riguarda le singole missioni sono 2 quelle su cui la camera è intervenuta con degli emendamenti. Un emendamento riguarda la missione in Libano. La richiesta è quella di mantenere l'impegno di assistenza nei confronti della popolazione locale e del governo (emendamento Ermellino - M5s). L'altro, firmato da Quartapelle e Borghi (Pd), riguarda sempre la scheda 48 sul rifinanziamento della missione di assistenza alla guardia costiera libica. In questo caso il testo impegna il governo a "verificare dalla prossima programmazione le condizioni per il superamento della suddetta missione [...] e potenziare il ruolo europeo".
Certo si tratta di una disposizione che vincola il governo solo a fare una valutazione in merito a questa ipotesi. D'altronde il parlamento è apparso in questi anni molto restio a imporre condizioni stringenti all'esecutivo sulle singole schede missione. Nonostante questo rientri pienamente nelle sue prerogative.
Le premesse
Nella parte delle premesse comunque ci sono alcuni altri elementi che meritano di essere segnalati. Si tratta peraltro di temi che sono stati oggetto di un'interlocuzione preliminare tra i membri della commissione esteri e alcune organizzazioni della società civile come Aoi (associazione delle Ong italiane). Tra questi si trovano, relativamente alle missioni umanitarie:
- l'impegno a "destinare una parte dei fondi agli enti multilaterali ma anche alle organizzazioni non governative italiane al fine di sostenere il sistema di rapporti costruiti con le comunità locali";
- la valorizzazione del "contributo dato dal personale femminile presente nei diversi teatri operativi, in linea con la risoluzione n. 1325 e seguenti delle Nazioni Unite su «Donne, Pace e Sicurezza»";
- “con riferimento alle missioni in corso di svolgimento nel Sahel“ il rafforzamento di "un approccio che abbia al centro la pace e la protezione, mettendo in risalto i fattori di conflitto nella regione";
- la valorizzazione di uno "strumento del peace building civile, valutando per il futuro uno stanziamento ad hoc".
Certo le premesse di una risoluzione si limitano a indicare una serie di principi e non azioni e obiettivi specifici che il governo deve per forza perseguire. Resta il fatto che queste risoluzioni sono, a norma di legge, lo strumento con cui il parlamento svolge la sua azione di indirizzo in tema di missioni internazionali. Sarà dunque importante verificare se e in che misura il governo si adopererà realmente per porre in essere le richieste del parlamento.
Un controllo parlamentare a posteriori
Dunque come abbiamo visto le richieste del parlamento impegnano il governo in modo piuttosto blando, senza vincoli particolarmente stringenti. In questo caso però è il parlamento stesso a non far valere prerogative che gli competono per legge. C'è un altro aspetto invece che depotenzia gravemente l'azione parlamentare e in cui la responsabilità ricade tutta in capo all'esecutivo. Si tratta della questione dei tempi di presentazione al parlamento delle delibere del governo.
si deve evidenziare criticamente il ritardo con il quale la Deliberazione è nuovamente sottoposta all’esame ed all’autorizzazione parlamentare, con il rischio di vanificare l’efficacia del rapporto Parlamento-Governo nella definizione dei prioritari indirizzi di politica estera
Negli ultimi 3 anni infatti le delibere del consiglio dei ministri sono sempre state presentare al parlamento con grande ritardo, tra maggio e giugno.
Eppure il voto parlamentare servirebbe proprio ad autorizzare nuove missioni o a consentirne la prosecuzione. Ma nonostante questo le operazioni prendono avvio o proseguono la loro opera molti mesi prima della ratifica parlamentare. È chiaro dunque che un eventuale voto negativo su una o più operazioni da parte del parlamento ne comporterebbe l'interruzione in corso d'opera. Ponendo peraltro le attività svolte fino a quel momento in una condizione di dubbia legalità.
Si tratta dunque di una prassi da contrastare, chiedendo con forza che il governo presenti alle camere le deliberazioni missioni all'inizio dell'anno, o meglio alla fine di quello precedente.
Il voto al senato
Uno dei problemi della legge 145/2016 è costituito dal fatto che il testo non definisce le procedure con cui il parlamento approva la delibera del governo. Né potrebbe farlo senza ledere l'autonomia delle camere. Per questo ad oggi camera e senato sono libere di votare le proprie risoluzioni in aula oppure direttamente in commissione. Le votazioni in commissione tuttavia sono molto meno trasparenti di quelle in aula. Il rischio quindi è che l'opinione pubblica non abbia modo di sapere come si sono espressi i propri rappresentati su questo tema.
E in effetti al senato la prima votazione è avvenuta proprio in commissione lo scorso 21 luglio e a norma di legge ci si sarebbe tranquillamente potuti limitare a questo. Peraltro da un punto di vista politico la questione era già considerata risolta con il voto in aula alla camera della settimana precedente. D’altronde così è stato fatto in varie occasioni negli scorsi anni.
Tuttavia grazie a una raccolta di firme tra i componenti delle commissioni competenti promossa dalla senatrice De Petris (a norma dell’articolo 50 comma 3 del regolamento), il testo è stato portato in aula anche al senato. Il dibattito e le deliberazioni (votazioni n. 14 - 15 - 16) che ne sono scaturite comunque non si sono distanziate in modo significativo da quelle già emerse alla camera solo pochi giorni prima.
L'esternalizzazione delle frontiere, un approccio europeo
I singoli elementi dibattuti nei giorni che hanno preceduto l'approvazione delle risoluzioni sono certamente importanti. Tuttavia sarebbe utile che la politica si interrogasse sull'approccio generale con cui vengono affrontate le questioni che riguardano il Mediterraneo, il nord Africa, il medio oriente nonché l’Afghanistan.
Certo è vero che le criticità più evidenti riguardavano il rifinanziamento della missione di assistenza alla guardia costiera libica. Il tema però non si esaurisce con questa singola operazione.
In varie altre operazioni in effetti emergono diversi elementi critici o potenzialmente critici. Spesso tuttavia questi sono inseriti all'interno di missioni che, nei loro obiettivi principali, appaiono altamente condivisibili. Il problema tuttavia è che i pochissimi elementi forniti a descrizione di queste operazioni rendono impossibile distinguere chiaramente le varie parti che le compongono.
Aspetti più o meno direttamente riferiti alla gestione dei flussi migratori in effetti si rilevano in molte delle schede proposte. Come la missione Irini (scheda 6/2021), la missione Mare sicuro (scheda 34/2021), la missione bilaterale di assistenza e supporto al governo libico (scheda 18/2021) e gli interventi di sostegno ai processi di pace (scheda 50/2021).
Finché la strategia europea resterà quella di esternalizzare le frontiere esterne lo spazio di manovra rimarrà limitato.
Analizzando bene queste schede appare evidente che le missioni italiane, indipendentemente dal loro obiettivo principale, si portano dietro un approccio figlio della strategia, italiana ed europea, di esternalizzazione delle frontiere esterne. Fintanto che la strategia europea si muoverà in questa direzione quindi il contributo che potrà dare il parlamento italiano, adottando o respingendo singole missioni, incontrerà delle obiettive limitazioni.
Al contempo però è irrealistico pensare che l'Unione europea (e con essa i paesi membri) cambi le proprie politiche nei confronti dei paesi di transito dei migranti senza al contempo assumersi responsabilità sostanziali nella gestione e nella ridistribuzione dei richiedenti asilo che arrivano nei vari paesi europei. Senza una gestione condivisa dell'accoglienza infatti è difficile immaginare che l'Europa possa mettere in campo politiche lungimiranti nei confronti dei paesi di origine e di transito dei flussi migratori.
E questo per quanto riguarda i titolari di protezione internazionale. Al contempo però è da tenere presente che il fenomeno migratorio riguarda anche i cosiddetti migranti “economici” per i quali è prioritario che vengano ripristinati criteri d'ingresso legale realistici attraverso il superamento del cosiddetto decreto flussi.
Il fondo missioni
È infine da aggiungere un ultimo elemento relativo al livello di chiarezza e trasparenza del finanziamento delle missioni. In particolare rispetto ai fondi destinati in questa sede alla cooperazione allo sviluppo.
I documenti presentati dal governo sono piuttosto precisi indicando la previsione di spesa per ciascuna missione, quanto sarà attribuito a ciascun ministero e una serie di tabelle che si dilungano in particolare sulla spesa sostenuta per il personale. In un'altra parte del documento poi vengono indicati i fondi effettivamente spesi per ogni missione attiva nell'anno precedente. Decisamente meno chiaro invece è quanto venga speso, all'interno della singola missione, per i diversi obiettivi che questa si propone.
Ripartizione delle risorse del fondo missioni internazionali
Leggi il dossier.
Il profilo più opaco comunque è il rapporto tra le deliberazioni missioni e i documenti di finanza pubblica. Il fondo missioni, con cui vengono di norma finanziate tutte le operazioni, è inserito per intero all'interno del bilancio del ministero dell'economia e delle finanze (Mef).
Il suo rifinanziamento, come è logico, è approvato in sede di legge di bilancio, che tuttavia viene di solito votata diversi mesi prima della risoluzione sulle missioni internazionali. Si tratta dunque di una cifra indicativa (1,48 miliardi per il 2021) che non può corrispondere precisamente alle reali previsioni di spesa. Queste infatti sono definite in seguito nelle relazioni sulle missioni.
€ 1,64 mld il fabbisogno finanziario programmato per le missioni internazionali nel 2021 definito dalle relazioni presentate dal governo al parlamento.
Una volta approvata la risoluzione gli importi stanziati nel fondo missioni vengono ripartiti, con decreto del presidente del consiglio, tra i diversi ministeri che poi realizzeranno le operazioni previste. La conseguenza però è che a questo punto il centro di costo non è più il ministero dell'economia. Dunque in fase di rendiconto la spesa sostenuta tramite il fondo missioni risulta sempre pari a zero.
Lo stesso problema poi si ripercuote sulla tabella della cooperazione predisposta dal Mef. Questa infatti non può tenere in considerazione interventi di cooperazione che essendo previsti con la deliberazione missioni, sono approvati molti mesi dopo la legge di bilancio.
Certo rispetto ai gravi profili di opacità che derivano dagli importi eccessivi proposti in sede di legge di bilancio dal ministero dell'interno, in questo caso si tratta di cifre molto più modeste (135 milioni di euro per il 2021).
Resta il fatto che un quadro così frammentato rende complicato se non impossibile ricostruire tutti gli elementi in maniera omogenea. Che si tratti di missioni internazionali classiche oppure di interventi di cooperazione. Eppure la legge 125 del 2014 era stata piuttosto chiara nell'affermare che, in materia di cooperazione allo sviluppo, fosse necessario assumere un profilo improntato alla massima trasparenza e al coordinamento delle varie istituzioni coinvolte.
Nel realizzare le iniziative di cooperazione allo sviluppo l'Italia assicura il rispetto: [...] b) di criteri di efficienza, trasparenza ed economicità, da garantire attraverso la corretta gestione delle risorse ed il coordinamento di tutte le istituzioni che, a qualunque titolo, operano nel quadro della cooperazione allo sviluppo.
* In seguito agli sviluppi della situazione in Afghanistan e al ritiro delle truppe Nato, tra cui quelle italiane, il 2 settembre 2021 il consiglio dei ministri ha stabilito una modifica della deliberazione missioni. Con questa modifica verranno dunque riallocati i 120 milioni di euro previsti per la prosecuzione della missione militare in Afghanistan a valere sul 2021 (scheda 52/2021). Questi importi dovrebbero dunque essere destinati all’accoglienza dei rifugiati afghani e per garantire la “partecipazione italiana all’attuazione di iniziative dell’Unione europea e internazionali di risposta alla situazione in Afghanistan”.
Foto Credit: ministero della difesa