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Gli enti locali devono avere risorse per garantire i servizi.

I comuni sono l’istituzione più prossima ai cittadini e la prima a fornire loro alcuni indispensabili servizi. Tuttavia, molte amministrazioni locali non hanno i fondi e gli strumenti necessari per svolgere questo ruolo. Una condizione di difficoltà che genera un divario nell’accesso a servizi essenziali, tra cittadini che vivono in territori dotati di risorse e chi vive invece in aree svantaggiate.

Le modifiche al titolo V della costituzione, introdotte nel 2001, avevano lo scopo di dare maggiore autonomia alle regioni e agli altri livelli di amministrazione locale. Un passo avanti nel quadro del federalismo fiscale che aveva, tra gli altri, l’intento di distribuire risorse ai comuni per migliorare la gestione dei servizi sul territorio.

Il sistema di distribuzione delle risorse ai comuni è regolato da meccanismi complessi Vai a "Cosa prevede il federalismo fiscale per i comuni"

Lo scopo della nostra analisi è proprio quello di fare luce sugli effetti del federalismo fiscale per i comuni italiani e capire perché la legislazione in vigore non abbia avuto effetti sulle disparità territoriali in tema di servizi.

È per questo motivo che abbiamo dato vita, insieme alla trasmissione Rai Report, a un progetto volto a capire meglio questi aspetti, attraverso un metodo di indagine a tecnica mista, che comprende interviste a politici e responsabili del processo amministrativo, raccolta e analisi dei dati, verifiche con esperti del settore.

Questo lavoro di approfondimento ha cercato di far luce su un tema fondamentale per i cittadini, che purtroppo rimane ancora oscuro nonostante la sua centralità nel dibattito pubblico.

I contenuti di openpolis sul federalismo fiscale saranno sinergici con quelli della trasmissione Report. Dati, analisi e indicatori originali sono e saranno usati per la preparazione del programma.

Lo storico divario

In Italia esistono storiche disparità tra le diverse aree del paese. In ambito economico, sociale, educativo, il Mezzogiorno risulta essere il territorio più svantaggiato secondo diversi indicatori. Dal tasso di occupazione al livello di istruzione, dal reddito medio al rischio di povertà o esclusione sociale.

43,8% le persone a rischio povertà o esclusione sociale nel sud Italia, nel 2018.

Lo stesso indicatore registra livelli ampiamente inferiori nelle altre aree del paese: 16,8% nel nord-ovest, 14,6% nel nord-est e 23,1% nel centro Italia.

Questa condizione di svantaggio ha fatto sì che nel corso degli anni le regioni del sud fossero anche le più colpite dal fenomeno dello spopolamento. In particolare per quanto riguarda la presenza dei minori. Una fascia di popolazione fondamentale nel determinare la vitalità e le prospettive di crescita di un territorio.

-9% la variazione del numero di residenti 0-17 in Molise e Basilicata, dal 2012 al 2018.

Considerando lo stesso arco temporale, in Campania e Sicilia i minori sono diminuiti di circa il 7% e il 6%. Le uniche regioni dove invece i minori sono aumentati sono nel centro-nord Italia. Nel Lazio si registra un aumento del 5%, in Emilia Romagna del 2,7% e in Lombardia e Toscana dell’ 1%.

La presenza di servizi accessibili e di qualità nel territorio in cui si vive è fondamentale per ridurre le disparità e contrastare lo spopolamento. La presenza di scuole e servizi per l’infanzia, di mezzi pubblici efficienti, migliorano la qualità della vita dei cittadini, che trovano sul proprio territorio i servizi di cui necessitano.

Il ruolo dei comuni e la riforma del titolo V della costituzione

Tra le novità introdotte dalla riforma del titolo V nel 2001, erano previste delle misure per ridurre la disparità tra i comuni, nella dotazione di risorse economiche. Risorse destinate a finanziare determinati servizi, ritenuti dallo stato fondamentali per tutti i cittadini.

  • L’articolo 117 stabilisce che lo stato definisca le funzioni fondamentali dei comuni e i livelli essenziali di prestazione con cui devono essere esercitate su tutto il territorio nazionale.
  • Per garantire tali condizioni, l’articolo 119 della riforma prevede che lo stato metta a disposizione un fondo perequativo, da distribuire ai comuni in base a criteri di equità. Risorse destinate ad aiutare i territori più svantaggiati, cioè quelli che non riescono a svolgere le proprie funzioni fondamentali ai livelli di prestazione definiti.
Il sistema di redistribuzione del fondo perequativo riguarda i 6.700 comuni delle 15 regioni a statuto ordinario. Vai a "Cosa prevede il federalismo fiscale per i comuni"

Nel 2010, a nove anni dalla riforma del titolo V, sono state stabilite le 10 funzioni fondamentali dei comuni. Tra queste l’organizzazione e la gestione dei seguenti servizi: trasporto pubblico comunale, raccolta e smaltimento dei rifiuti, servizi sociali comprensivi di asili nido.

Tuttavia, nonostante a oggi siano passati quasi 20 anni dalla riforma, lo stato non ha ancora individuato i livelli essenziali di prestazione (Lep) di queste funzioni fondamentali.

Senza i Lep manca una definizione dei diritti dei cittadini in tema di servizi.

Questa è una grave mancanza: definire i Lep serve a determinare quali comuni non riescono a garantirli e indirizzare il fondo perequativo nei territori più svantaggiati. Così da permettere a tutti i cittadini, a prescindere dal territorio in cui vivono, di accedere a dei servizi con un determinato livello di qualità.

L’Autonomia significa ottimizzare la fruizione dei servizi per i cittadini in relazione alle esigenze e alle vocazioni del territorio e alle sue priorità ma partendo dal presupposto che in ogni parte d’Italia venga comunque garantito un livello di prestazioni minimo.

Intanto senza i Lep è stato necessario trovare un diverso metodo di redistribuzione del fondo perequativo. In assenza di criteri di qualità, si è deciso di incentrare il sistema sulle risorse e sulla spesa dei comuni per i servizi. 

La distribuzione del fondo perequativo

Il calcolo per la ripartizione del fondo perequativo è basato su un calcolo che considera fabbisogni standard e capacità fiscali. I fabbisogni standard sono indicatori che stimano per ogni ente locale, il fabbisogno finanziario necessario per svolgere le proprie funzioni fondamentali.

I fabbisogni di un comune sono definiti in base alla spesa media per i servizi di comuni simili a quello considerato per caratteristiche demografiche, socio-economiche e morfologiche. Vai a "Cosa sono i fabbisogni standard"

La capacità fiscale, invece, è la stima delle risorse che un ente locale ricava dalle sole entrate tributarie del proprio territorio.

Per decidere come distribuire il fondo perequativo, viene calcolata per ogni comune la differenza tra il suo fabbisogno standard totale e la sua capacità fiscale:

  • se la differenza è positiva il fabbisogno è superiore alla capacità. Ciò significa che l’ente considerato non riesce con le proprie risorse a soddisfare il fabbisogno di servizi del proprio territorio. Per questo motivo, il comune riceverà risorse dal fondo.
  • se la differenza è negativa, il fabbisogno è inferiore alla capacità. Ciò significa che l’ente riesce con le entrate che ricava dal territorio a coprire il fabbisogno di servizi. Di conseguenza, verserà risorse al fondo, invece di riceverle.

L’attuale sistema di perequazione delle risorse non copre i fabbisogni.

I comuni ricevono o versano solo il 45% di tale differenza. Questo limita il sistema di perequazione, che dovrebbe invece garantire a ogni ente le risorse necessarie a coprire interamente il proprio fabbisogno.

Inoltre, confrontando il totale dei fabbisogni dei comuni con il totale delle capacità fiscali, è evidente che i primi non possono essere interamente finanziati dai secondi in ogni caso. La ridistribuzione orizzontale delle sole risorse comunali non basta quindi a garantire che tutti gli enti siano in grado di offrire servizi essenziali ai propri cittadini.

8 mld di euro circa, la differenza tra il fabbisogno totale e la capacità fiscale di tutti i comuni italiani, nel 2016.

Infine, emergono delle criticità relative agli indicatori considerati. La capacità fiscale, in quanto corrispondente a una stima e non alle effettive risorse economiche dei comuni. I fabbisogni standard perché, in assenza della definizione dei livelli essenziali di prestazione, non riescono a individuare la reale necessità di servizi su un territorio.

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