Nel precedente capitolo abbiamo visto come le leggi di iniziativa parlamentare approvate nell’attuale legislatura siano un numero relativamente consistente, anche se al contempo continuano a proliferare i decreti legge emanati dall’esecutivo. Ma questo non è l’unico modo in cui il governo condiziona i lavori parlamentari.

Un altro aspetto è quello riguardante il ricorso sempre più frequente alla questione di fiducia al fine di blindare e velocizzare l’iter di approvazione dei disegni di legge (Ddl) in discussione. La costituzione non prevede questa prassi, stabilendo di fatto solo la circostanza per cui un governo appena nominato debba recarsi alle camere e richiedere la loro fiducia per poter entrare effettivamente in carica. Allo stesso tempo è possibile per il parlamento revocare la fiducia attraverso l’approvazione di una mozione. In questo caso l’esecutivo sarebbe costretto a dimettersi.

Legare il destino dell’esecutivo all’approvazione di un Ddl è diventata nel tempo una prassi sempre più ricorrente e dibattuta, perché di fatto limita in maniera significativa le prerogative del parlamento. Da questo punto di vista i dati del governo Meloni risultano molto alti, sia in termini assoluti che considerando la media mensile.

67 le questioni di fiducia su disegni di legge poste dal governo Meloni.

Con la fine dell’emergenza pandemica, e vista anche l’ampia maggioranza di cui gode, ci si sarebbe potuti attendere un ricorso meno intenso alla fiducia. Invece le votazioni di questo tipo si stanno svolgendo anche con più frequenza rispetto a quanto accaduto nella precedente legislatura.

Il ricorso alla fiducia dei diversi governi

Come anticipato, in 24 mesi il governo Meloni ha fatto ricorso alla questione di fiducia in 67 occasioni. Solo il governo Renzi ne ha poste un numero maggiore (68) ma in molto più tempo (33 mesi). Seguono gli esecutivi Draghi (55) e Monti (51).

Per valutare l’incidenza dei voti di fiducia sull’operato di esecutivi che hanno avuto durata diversa possiamo fare riferimento al dato medio di questioni poste al mese. In questo caso possiamo osservare che l’attuale esecutivo si colloca al secondo posto con 2,72. Al primo troviamo il governo Monti (2,79 questioni di fiducia al mese) che a fine 2011 fu chiamato a gestire la grave crisi economica che attanagliava il nostro paese.

Al terzo posto troviamo il governo Draghi (2,68) che tra il 2021 e il 2022 ha fronteggiato le fasi più complesse della pandemia. L’altro governo che ha affrontato il Covid, il secondo esecutivo Conte, riporta un dato addirittura inferiore (2,21).

FONTE: elaborazione e dati openpolis
(ultimo aggiornamento: giovedì 3 Ottobre 2024)

Il governo Meloni ricorre alla fiducia con la stessa frequenza di governi chiamati a gestire situazioni di emergenza.

Occorre osservare che gli esecutivi Draghi e Monti, costituitisi ad hoc per fronteggiare situazioni eccezionali, possono essere definiti come governi di unità nazionale. In quanto tali erano sorretti da maggioranze ampie ma eterogenee. Il ricorso alla fiducia quindi poteva anche essere letto come un modo per ricompattare le forze parlamentari che avevano scelto di appoggiare la formazione di questi esecutivi. Non è questo il caso, evidentemente, del governo Meloni.

I Ddl approvati con doppio voto di fiducia

Un altro aspetto che aiuta a comprendere l’incidenza di questo fenomeno nei rapporti tra governo e parlamento è quello relativo al numero di leggi che sono passate da un voto di fiducia in entrambi i rami del parlamento. In questo caso infatti i margini di intervento per deputati e senatori si riducono al minimo, limitandosi alle dichiarazioni di voto.

Con un doppio voto di fiducia il testo di un Ddl viene blindato dal governo.

Da questo punto di vista possiamo osservare che il governo attualmente in carica ha già raggiunto il primo posto nel confronto con gli esecutivi delle ultime 4 legislature. Quello di Giorgia Meloni infatti ha approvato ben 27 leggi ponendo la fiducia in entrambe le camere. Al secondo posto troviamo il governo Renzi con 22, al terzo Draghi con 20.

FONTE: elaborazione e dati openpolis
(ultimo aggiornamento: giovedì 3 Ottobre 2024)

Nella maggior parte dei casi sono i Ddl di conversione dei decreti legge a subire questo trattamento. Anche perché devono concludere il loro iter entro 60 giorni. Come già evidenziato nel precedente capitolo quindi, il ricorso eccessivo alla decretazione d’urgenza non solo è improprio perché dovrebbe essere limitato a casi straordinari ma anche perché ingolfa le agende delle camere che non sempre riescono a convertirli in tempo. Ciò spinge l’esecutivo a porre la fiducia per velocizzare i tempi, generando così un circolo vizioso.

Tra i provvedimenti più recenti approvati con doppio voto di fiducia troviamo i Ddl di conversione del cosiddetto decreto omnibus in materia fiscale, del decreto svuota carceri, del decreto infrastrutture, processo penale e sport e del decreto salva casa.

Le mozioni di sfiducia

Come abbiamo visto, legare il destino di un esecutivo all’approvazione di un determinato disegno di legge è diventata una prassi piuttosto ricorrente. Tuttavia il fine originario della questione di fiducia è quello di conferire al governo il placet del parlamento per poter svolgere la propria attività. Come lo concedono, le camere possono revocarlo. Ciò avviene con la cosiddetta mozione di sfiducia.

Anche se non esplicitamente previsto dalla costituzione, la prassi prevede la possibilità di sfiduciare singoli ministri, oltre all’intero governo. Vai a “Come si sfiducia un ministro”

Negli ultimi 24 mesi le mozioni di sfiducia discusse e votate sono state 3. Due sono state a carico della ministra del turismo Daniela Santanché, entrambe presentate da esponenti del Movimento 5 stelle (Francesco Silvestri e Stefano Patuanelli). La terza invece è stata presentata dall’esponente di Azione Matteo Richetti a carico del ministro delle infrastrutture Matteo Salvini.

23 le mozioni di sfiducia discusse e votate nelle ultime 4 legislature.

Oltre a Santanché anche in altre occasioni sono state presentate più mozioni di sfiducia a carico di uno stesso ministro. Nelle scorse legislature è successo per Alfonso Bonafede, Angelino Alfano, Danilo Toninelli e Sandro Bondi. L’unico esponente con 3 mozioni di sfiducia a proprio carico è Roberto Speranza, ministro della salute durante il Covid sia nel governo Conte II che in quello guidato da Mario Draghi.

Nessuna mozione di sfiducia è stata mai approvata. Nessun ministro è stato costretto a dimettersi per questo.

Il fatto che un singolo ministro sia oggetto di più mozioni di sfiducia contemporaneamente può avere più spiegazioni. In primo luogo la stessa discussione può avvenire sia al senato che alla camera. Inoltre può darsi il fatto che le diverse componenti politiche presenti in parlamento vogliamo rimarcare la propria posizione agli occhi del loro elettorato. Nel caso del ministro Speranza ad esempio, le 3 mozioni sono state discusse e votate nello stesso giorno. Una a firma di Gianluigi Paragone (Misto-Italexit, ex M5s), una di Mattia Crucioli (Misto-L’alternativa, ex M5s) e una di Luca Ciriani (Fdi).

FONTE: elaborazione e dati openpolis
(ultimo aggiornamento: giovedì 3 Ottobre 2024)

Nel periodo considerato, sono stati due i governi soggetti a mozioni di sfiducia nella loro totalità. Si tratta del governo Berlusconi IV nel 2010 e del governo Renzi nel 2016. Tutte queste mozioni sono sempre state respinte dalle varie maggioranze. Di conseguenza ministri e governi sono rimasti al loro posto. Queste operazioni finora si sono quindi rivelate velleitarie. Azioni più dal significato simbolico che con un reale impatto sugli equilibri del parlamento.

Foto: governolicenza

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