Coronavirus, chi decide durante lo stato di emergenza
1. Norme in deroga senza trasparenza
Il 31 gennaio del 2020 una delibera del consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza nel nostro paese. Da quel giorno è iniziata una delle fasi più complesse che l’Italia abbia mai vissuto. L’emergenza Coronavirus non solo sta mettendo a dura prova il nostro sistema sanitario, ma anche quello politico.
Quello che sta colpendo il nostro paese è un evento senza precedenti. Proprio per questo motivo rappresenta un esame molto importante per le istituzioni italiane. La gestione del potere e la catena di comando in questa fase sono soggette a continue evoluzioni. Un sistema chiamato a rapide soluzioni normative in un contesto in perenne cambiamento. Una fase in cui il potere è gestito in deroga alle normali leggi, e in cui decisioni fondamentali vengono prese fuori dai normali paletti normativi.
Governo, protezione civile, regioni, istituto superiore della sanità: tanti diversi soggetti tutti chiamati ad avere un ruolo. Una mappa complessa da ricostruire, che giorno dopo giorno sta gestendo la più grande emergenza sanitaria degli ultimi anni. Uno scenario in cui finalmente si sta inserendo il parlamento, assente in questa prima fase della crisi. Con la riapertura dei lavori, e l’informativa di Conte in aula, camera e senato avranno ora un ruolo maggiore.
[…] sono consapevole della necessità di un doveroso coinvolgimento del parlamento, che esprime, al massimo grado, la democraticità del nostro ordinamento.
In particolare sarà da avviare una riflessione sul modello di gestione implementato in 3 ambiti specifici: l’emergenza sanitaria, quella economica e soprattutto le implicazioni che le varie decisioni prese stanno avendo sui diritti fondamentali dei cittadini (dagli spostamenti alla privacy). Ambiti in cui la trasparenza avrà un ruolo fondamentale per evitare abusi ed inefficienze.
Stato di emergenza
Il 2020 ha sancito l’arrivo sul nostro territorio del Coronavirus. Già dal mese di gennaio infatti le prime circolari del ministero della salute hanno iniziato ad affrontare il tema. Il 22 gennaio, proprio presso il dicastero guidato da Roberto Sperenza, è stata formata una prima task force con il compito di coordinare tutti gli sforzi per evitare la diffusione dell’epidemia nel nostro paese. Da lì è iniziata una rapida evoluzione di eventi, con l’approvazione di numerosi decreti, ordinanze e circolari, per cercare di contenere quella che poi è diventata una pandemia mondiale.
L’Italia è stata una delle prime nazioni a dichiarare lo stato di emergenza, un atto che ha permesso al governo, visto la situazione di pericolo imminente, di prendere determinate decisioni. Era il 31 gennaio, e da lì a poco molte cose sarebbero cambiate nel nostro paese.
Il potere di ordinanza permette di agire in deroga alla normativa vigente.
Lo stato di emergenza è una misura adottata dal governo in casi straordinari. Introduce il potere di ordinanza, conferendo al consiglio dei ministri una competenza attributiva di tale potere. Il potere di ordinanza permette al soggetto individuato di agire in deroga alla normativa vigente, ma sempre nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico.
La delibera del 31 gennaio è composta da 3 articoli. Il primo dichiara l’istituzione dello stato di emergenza per un periodo di 6 mesi (fino al 31 luglio), individuando con l’articolo 2 nel capo della protezione civile il soggetto responsabile per l’attuazione degli interventi normativi necessari.
Il ruolo della protezione civile
Da fine gennaio quindi il ruolo di gestione dell’emergenza è passato alla protezione civile. Il dipartimento della protezione civile è una struttura della presidenza del consiglio dei ministri, e dall’8 agosto del 2017 è guidato da Angelo Borrelli.
Come visto alla protezione civile è conferito il potere di ordinanza. Atti che possono essere presi in deroga alla normativa vigente, permettendo quindi azioni straordinarie ed eccezionali. L’ordinanza 630 del 3 febbraio 2020 è il primo atto preso da Borrelli per contenere la diffusione del virus. Nel testo vengono stabilite due cose, la prima delle quali è l’istituzione un comitato tecnico scientifico che ha il compito di coordinare tutti gli interventi. In secondo luogo viene fatto l’elenco delle leggi che possono essere derogate dal capo del dipartimento della protezione civile e dagli eventuali soggetti attuatori per la realizzazione delle attività richieste.
I soggetti attuatori sono individuati dalla protezione civile per contribuire alla gestione dell’emergenza.
Un ulteriore snodo importante di questa fase riguarda proprio l’individuazione di soggetti attuatori. Il capo della protezione civile si può infatti avvalere di soggetti attuatori, individuati anche tra gli enti pubblici economici e non economici e soggetti privati, che agiscono sulla base di specifiche direttive, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Soggetti a cui quindi la protezione civile affida l’attuazione di specifiche azioni.
L’individuazione di queste figure rappresenta un aspetto chiave per attuare tempestivamente le misure necessarie a fronteggiare l’emergenza. Il primo di questi soggetti attuatori è stato individuato con un decreto della protezione civile il 7 febbraio nella figura del segretario generale del ministero della salute: Giuseppe Ruocco. Ricordiamo che l’essere nominati soggetti attuatori permette di agire in deroga alla normativa vigente.
Le regioni
Con l’evolversi dell’emergenza poi, e soprattutto con la nascita del primo focolaio italiano alla fine del mese di febbraio, la protezione civile e il governo hanno preso la decisione di decentrare la gestione dell’emergenza. Una decisione che non sorprende viste le varie riforme che sono state implementate negli anni in materia di competenze tra stato e regioni, sia in ambito sanitario che in quello della protezione civile.
Una serie di decreti della protezione civile hanno infatti individuato nei presidenti di regione ulteriori soggetti attuatori. Ai decreti che hanno riguardato le prime regioni coinvolte dall’epidemia, adottati il 22 e 23 febbraio (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Friuli-Venezia Giulia), ne sono seguiti altri il 27 febbraio che hanno coinvolto le restanti regioni italiane. Così facendo viene dato ai presidenti di regione il potere di attuazione sul proprio territorio.
Questa decisione ha dato quei poteri necessari alle regioni per affrontare l’emergenza in maniera più autonoma. Al tempo stesso ha reso più complesso ricostruire la catena di comando in questa fase storica, e soprattutto determinare quale fosse il modello di intervento corretto per la gestione dell’emergenza.
La mancanza di indicazioni sulla catena di comando ha generato 10 giorni di confusione sulla gestione dell’emergenza.
Non a caso il 4 marzo la stessa protezione civile ha diramato le “Misure operative di protezione civile per la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19“. Nel testo è contenuta la definizione della catena di comando e controllo, del flusso delle comunicazioni e delle procedure da attivare in relazione allo stato emergenziale determinato dal diffondersi del virus. Un documento che coordina quindi le attività al livello nazionale, regionale, provinciale e comunale. Un atto dovuto e fin troppo atteso, considerando i quasi 10 giorni di piena crisi sanitaria in cui governo centrale, protezione civile e regioni hanno agito in maniera non coordinata.
Questa gestione non solo ha dato compiti specifici alle regioni, ma anche ad altri enti pubblici. Nel caso specifico con l’ordinanza 640 del 27 febbraio la protezione civile ha affidato:
- La sorveglianza microbiologica del virus all’Istituto superiore di sanità;
- La sorveglianza epidemiologica del virus all’Istituto superiore di sanità;
- La sorveglianza delle caratteristiche cliniche all’Istituto nazionale di malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma.
Capacità ospedaliera e fornitura sanitaria
Uno dei principali problemi che è emerso immediatamente con l’evolversi degli eventi è stato quello della capacità degli ospedali di affrontare l’emergenza. La necessità di reperire con tempi rapidi mascherine, respiratori e altro è diventata urgente già da fine di febbraio.
Proprio per questo motivo il 2 marzo un decreto della protezione civile ha nominato l’amministratore delegato di Consip, Cristiano Cannarsa, soggetto attuatore. Una scelta non indifferente perché permette a Consip di agire fuori dagli abituali paletti normativi, ma soprattutto perché viene riconosciuta un’apposita contabilità speciale per svolgere queste mansioni. Due elementi che messi insieme danno molto potere, non controllato, a Consip.
Il 17 marzo, con il decreto Cura Italia vengono reiterate alcune decisioni prese da una circolare del ministero della salute risalente al primo marzo. Nello specifico la necessità di attivare a livello regionale un incremento dei posti letto disponibili: del 50% del numero di posti letto in terapia intensiva, e del 100% di quelli in unità operative di pneumologia e in unità operative di malattie infettive.
Sempre nel decreto Cura Italia viene nominato commissario straordinario Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, per gestire la riconversione del sistema industriale italiano. All’articolo 5 infatti il commissario è autorizzato a erogare finanziamenti mediante contributi a fondo perduto o in conto gestione, nonché finanziamenti agevolati, alle imprese che producono dispositivi di protezione individuale e medicali, per assicurarne l’adeguata fornitura nel periodo di emergenza del COVID-19.
Lo scostamento di bilancio
Le ripercussioni sull’economia italiana di questa crisi non sono sicuramente da ignorare.
Un elemento non secondario, soprattutto considerando la precaria situazione in cui già si trovava il nostro paese prima dell’attuale emergenza sanitaria. Un aspetto che è stato subito affrontato dalla nostra classe politica, e che ha portato il governo lo scorso 11 marzo ad approvare un primo significativo scostamento di bilancio. Una decisione presa anche in accordo con la commissione europea, soprattutto per l’ulteriore ricorso all’indebitamento che è stato reso necessario.
Considerato l’importo complessivo dell’emergenza, e le diverse decisioni messe in campo dal governo, è stato previsto che il saldo netto da finanziare del bilancio dello stato possa aumentare fino a 104,5 miliardi di euro nel 2020 in termini di competenza e a 154 miliardi di euro in termini di cassa. Un incremento quindi degli stanziamenti fino a 25 miliardi sia in termini di competenza che in termini di cassa.
€25 mld di scostamento di bilancio previsti dal primo decreto Coronavirus
Cifre molto alte, considerando soprattutto che la manovra economica approvata alla fine del 2019, e che riguardava il 2020, era di 32 miliardi di euro. Il documento, approvato sia alla camera che al senato lo stesso 11 marzo, ha quindi un valore economico non indifferente. Visto il clima di unità nazionale però, il dibattito sul testo è stato molto limitato, con un’approvazione unanime da parte del parlamento. Successivamente a fine aprile l’approvazione del Documento di economia e finanza da parte del governo ha previsto un scostamento totale di altri 55 miliardi di euro per il 2020.
L’approvazione del Def a fine aprile ha previsto uno scostamento di altri 55 miliardi euro per il 2020.
Un dato però è certo, nel periodo storico che stiamo vivendo, lo stato di emergenza ha richiesto non solo la creazione di una catena di comando che agisse in deroga all’attuali normative, ma anche l’investimento di risorse straordinarie.
Tanti atti, molti attori
Come abbiamo avuto modo di vedere una complessa macchina statale si è messa in campo per affrontare questa crisi. Gli attori coinvolti sono tanti, le decisioni da prendere pure, e questo ha anche creato momenti di confusione.
Una catena di comando che per quanto definita, anche a causa del decentramento messo in campo, ha portato a non poche polemiche. Uno scontro, soprattutto tra governo e regioni, che si basa proprio sulla difficoltà di stabilire quali norme abbiano più peso di altre. Non a caso Attilio Fontana, governatore della regione Lombardia, il 23 marzo ha inviato una nota formale al ministero dell’Interno chiedendo dei chiarimenti.
Ho inviato una nota formale al ministro dell’Interno Lamorgese, con la quale ho avuto anche una telefonata prima dell’invio, con la quale chiedo che il ministero esprima il suo parere se si debba applicare l’ordinanza della Regione o il Decreto della presidenza del consiglio dei ministri.
Anche perché la gestione della crisi ha prodotto un numero altissimo di documenti e decisioni. Solamente a livello nazionale, escludendo quindi le regioni, da fine gennaio ad oggi sono stati emanati più di 200 atti di vario genere: decreti ministeriali, ordinanze, circolari, decreti legge e altro.
Coinvolti in questa fase, oltre al governo (principalmente con la presidenza del consiglio) e la protezione civile, anche altre 7 entità: 3 ministeri (salute, trasporti ed economia), l’istituto superiore della sanità, il centro nazionale trapianti, il commissario Arcuri e il parlamento.
Tra tutti gli attori visti fino ad ora, almeno a livello nazionale, i protagonisti sono stati principalmente 3: il ministero della salute, la protezione civile e il governo, soprattutto con la presidenza del consiglio. La rapida evoluzione degli eventi ha infatti richiesto molte, e a volte confusione, decisioni. Dai decreti ministeriali presi dai dicasteri coinvolti e dalla protezione civile, alle tante ordinanze che hanno riguardato soprattutto il ministero della salute, passando per i decreti della presidenza del consiglio dei ministri.
Il 31 gennaio 2020 il governo Conte II ha dichiarato lo stato d’emergenza.
Una situazione straordinaria in cui numerose istituzioni sono coinvolte. In primis la protezione civile, soggetto attuatore incaricato dal governo, che a sua volta ha coinvolto nel processo molti altri attori.
FONTE: dati Ministero della salute e Gazzetta ufficiale ed elaborazione openpolis.
Un aspetto che sembra centrale in tutta questa fase è che l'emergenza sta riducendo lo spazio per il dibattito sulle decisioni che vengono prese. Decisioni che hanno serie implicazioni su alcune delle libertà fondamentali dei cittadini, tra cui la libertà di spostamento. Gli atti emanati da protezione civile, ministero della salute, regioni e governo sono prese in deroga all'attuale normativa, con un coinvolgimento del parlamento che fino ad oggi è stato minimo. Trattandosi principalmente di provvedimenti "amministrativi" vengono presi senza quel duplice controllo che generalmente viene assicurato con l'approvazione di leggi e decreti legge. Quello cioè del presidente della repubblica e del parlamento.
54 giorni sono passati dalla dichiarazione di stato di emergenza alla prima informativa di Conte in parlamento.
Il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha riferito in aula solamente il 25 marzo scorso. Per la prima volta dall'inizio della crisi il capo del governo è andato in parlamento per confrontarsi con deputati e senatori sulle scelte prese. L'ultima informativa del governo risaliva all'11 marzo, e vedeva protagonista il ministro della giustizia Bonafede sul tema delle rivolte nelle carceri. Prima di lui era intervenuto in due occasioni il ministro della salute Speranza, nello specifico il 26 febbraio e il 30 gennaio.
La trasparenza per evitare inefficienza e abusi
Inizia ora una nuova fase della crisi, in cui sarà maggiore il ruolo di camera e senato. Con la riapertura dei lavori, e la discussione in aula sul decreto Cura Italia, maggioranza e opposizione potranno finalmente inserirsi nelle dinamiche di potere durante questo stato di emergenza. Attività di controllo, tra le prerogative del parlamento, che fino a questo momento è stata assente.
L'importanza della trasparenza per evitare che lo stato di emergenza porti ad abusi di potere.
Un elemento da un lato normale e naturale, ma che per questo motivo necessita di un monitoraggio puntuale e attento. Ad oggi è mancata una vera riflessione sul modello di gestione di questa emergenza. Soprattutto in 3 ambiti specifici: la crisi sanitaria, quella economica e quella che riguarda le implicazioni di tutto questo sui diritti fondamentali dei cittadini. Il dibattito sul tracciamento digitale degli spostamenti e dei contatti delle persone ne è un perfetto esempio. Con governatori che dichiarano di voler mettere in campo azioni di monitoraggio (Zaia e Solinas su tutti), mentre il Garante per la privacy richiede un decreto del governo in materia.
In questo senso la trasparenza e l'accountability dovranno rappresentare degli elementi imprescindibili nei prossimi mesi. Bisogna evitare che lo stato d'emergenza, e l'agire fuori dai normali paletti giuridici ed economici, porti a inefficienze, cattiva politica e soprattutto abusi di potere.
Foto credit: Facebook Protezione civile