Giovani al centro
2. Politiche giovanili e centri di aggregazione in Italia
I giovani e il tempo libero
Per approfondire il ruolo dei centri di aggregazione, e in generale dei presidi che sul territorio offrono esperienze aggregative, il punto di partenza è necessariamente l’impiego del tempo libero tra i più giovani.
Un tema che i dati raccolti con l’indagine annuale di Istat sulla vita quotidiana consentono di iniziare a valutare lungo almeno due aspetti salienti. Il primo è la frequenza dei contatti con gli amici, ovviamente nell’ultimo anno prima dell’emergenza Covid. Il secondo riguarda la soddisfazione rispetto alla propria vita, anche in relazione all’uso del tempo libero.
Il report completo in pdf
Il primo elemento da considerare è che nel corso degli anni la quota di bambini e ragazzi che, nel tempo libero, vedono i propri amici quotidianamente è drasticamente diminuita. Per alcune classi di età, ad esempio quella 11-14 anni, si è dimezzata, ma il calo è consistente anche nella fascia 6-10 anni (da 63,6% a 34%) e in quella 15-17 (da 72,2% a 39,1%).
Sempre meno bambini e ragazzi vedono gli amici tutti i giorni
Persone di 6-19 anni che incontrano tutti i giorni gli amici nel tempo libero (2005-19)
FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 18 Maggio 2021)
La frequenza degli incontri si è spostata maggiormente su base settimanale.
Al drastico calo degli incontri quotidiani con gli amici, al di fuori dalla scuola, è corrisposto un aumento netto di quelli settimanali. Se isoliamo la fascia 11-14 anni (ma una tendenza simile si riscontra anche nelle altre classi di età dei minori) è possibile percepirlo con chiarezza. Nel 2005 oltre il 70% dei preadolescenti (11-14 anni) vedeva i propri amici con frequenza quotidiana. Tale quota è progressivamente scesa fino al 34,3% attuale. In parallelo, si registra l'incremento degli incontri più volte alla settimana (passati dal 23,3% al 36,8%) e - in misura ancora maggiore - di quelli una sola volta alla settimana (erano solo il 3,3% nel 2005, oggi riguardano quasi il 18% degli 11-14enni).
Come sta cambiando l’uso del tempo libero di ragazze e ragazzi
Persone di 11-14 anni per frequenza con cui incontrano gli amici nel tempo libero (2005-19)
FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 18 Maggio 2021)
Dati su cui è presumibile abbia avuto un impatto decisivo la diffusione delle nuove tecnologie. Se, anche solo pochi anni fa, l'incontro fisico era quasi l'unico modo per passare del tempo con gli amici, oggi molte attività, anche ludiche, avvengono a distanza. Tale ipotesi potrebbe essere in parte confermata da quanto emerso nell'indagine dell'istituto degli innocenti su adolescenti e pre-adolescenti nelle 15 città riservatarie.
Interrogando i ragazzi sulle loro abitudini quotidiane emerge un uso sempre più massiccio delle tecnologie. Pur essendo vigente un divieto di iscrizione ad alcuni social network per gli under 13, due ragazzi su tre delle scuole della secondaria di primo grado hanno un profilo o fanno parte di una community che frequentano quotidianamente. Data l’ancor più diffusa disponibilità di pc, tablet e smartphone tra i ragazzi più grandi che frequentano le scuole secondarie di secondo grado, la percentuale di coloro che dichiarano di possedere un profilo social o di far parte di una community frequentata quotidianamente sale, in questo ordine scolastico, all’86% dei ragazzi. Non c’è alcuna differenza sociale che tenga quando si tratta di accesso a profili social o community
Parallelamente, mostra alcuni segnali di incremento anche la quota di giovani che vede gli amici nel tempo libero solo qualche volta all'anno, mai oppure dichiara di non averne proprio. Nella fascia 11-14, queste categorie sommate passano dallo 0,8% del 2005 al 2,7% del 2019. In quella 15-17, dallo 0,8% al 2,9%; tra chi ha tra 6 e 10 anni, dal 3,3% al 6,3%.
0,8% dei giovani tra 11 e 14 anni non vede mai i propri amici nel tempo libero. Un ulteriore 1,9% li frequenta solo qualche volta all'anno.
Il diritto alla socialità è essenziale sia per i bambini che per gli adolescenti.
Percentuali solo in apparenza residuali, rispetto ad un fenomeno ed esigenze assolutamente da non sottovalutare. Lo indicano i risultati di una consultazione - riportata nella relazione 2019 del garante per l'infanzia - che nell'anno scolastico 2018/19 ha coinvolto 80 scuole primarie. Migliaia di bambini sono stati consultati rispetto ai propri bisogni, con lo scopo di immaginare una nuova carta dei diritti fondamentali, contenente le prerogative scelte direttamente da loro (successivamente raccolte nel manifesto dei diritti dei bambini, lanciato a novembre 2019). Tra gli aspetti messi in rilievo dagli stessi minori è emerso chiaramente il diritto all'amicizia come uno degli aspetti primari da tutelare.
Gli ambiti nei quali i bambini hanno fornito maggiori indicazioni, utili agli adulti per orientare le proprie azioni, sono i seguenti (...) amicizia, ovvero il diritto di avere amici
Una necessità essenziale non solo nell'infanzia, ma anche per preadolescenti e adolescenti. Ovvero giovani che attraversano una fase della vita di forte transizione, segnata da cambiamenti personali e scelte importanti. In questo quadro, la socializzazione e la condivisione di una fase così impattante sullo sviluppo assume un ruolo centrale per una crescita sana.
La relazione con i coetanei nell’adolescenza è un aspetto di notevole importanza sia per la socializzazione che per l’acquisizione di una chiara percezione del sé, oltre che di una buona autostima. Durante questa fase di vita caratterizzata da profondi cambiamenti, l’essere compresi e l’essere sostenuti nei momenti di difficoltà assumono un forte valore per una crescita serena e armoniosa. Pertanto la possibilità di passare il tempo libero con gli amici e poter parlare liberamente dei propri problemi risulta un elemento centrale nella quotidianità dei ragazzi e delle ragazze
A questo bisogna aggiungere che, lungo tutta la serie storica considerata, la quota di giovani che si dichiarano molto o abbastanza soddisfatti delle proprie relazioni di amicizia è costantemente superiore a quella dei soddisfatti per l'uso del proprio tempo libero.
Adolescenti più soddisfatti delle relazioni di amicizia che del proprio tempo libero
Percentuale di adolescenti 14-17 anni che si dichiarano molto o abbastanza soddisfatti delle proprie relazioni di amicizia e del proprio tempo libero (2005-19)
FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 18 Maggio 2021)
Uno iato che - sebbene mostri segnali di riduzione - chiama in causa, tra le altre cose, anche la necessità di sviluppare politiche giovanili sul territorio. Iniziative in grado di produrre momenti di aggregazione e socialità che si rivolgano a ragazze e ragazzi.
Le politiche giovanili in Italia: una storia di iniziative "dal basso"
La storia dei centri di aggregazione in Italia è strettamente connessa con quella delle politiche giovanili. Se in altri paesi europei, già dagli anni '70, i giovani diventano destinatari di politiche pubbliche strutturate a livello nazionale, il nostro paese segue una traiettoria diversa (Campagnoli, Bazzanella, 2010).
Fin dal dopoguerra, c'è una propensione piuttosto netta della classe dirigente, appena uscita dagli anni del fascismo, nel privilegiare iniziative autonome dei corpi sociali, senza alcun intervento da parte dello stato. Una scelta perfettamente comprensibile alla luce di quanto accaduto nel ventennio. Proprio sul controllo delle attività e del tempo libero dei giovani, il regime aveva investito massicciamente per cementare il suo consenso. Con il ritorno alla democrazia, diventa naturale per le istituzioni astenersi da qualsiasi interferenza nell'organizzazione delle attività rivolte ai giovani.
(...) la scelta del nuovo stato repubblicano non fu quella di promuovere "forti" azioni politico-formative per i giovani, ma di affidare questi compiti al pluralismo delle formazioni sociali.
È in questo quadro - fortemente improntato alla sussidiarietà - che si sviluppano le politiche giovanili italiane. La loro successiva trasformazione in iniziative istituzionali arriva soprattutto da esperienze locali negli anni '70 e '80, nell'assenza di qualsiasi coordinamento o intervento nazionale. Sono gli enti locali, comuni e province, a promuovere in collaborazione con il terzo settore esperienze aggregative, servizi rivolti ai giovani e altre politiche di questo tipo. Ma, in un contesto ormai profondamente mutato rispetto all'immediato dopoguerra, pesa l'assenza di coordinamento a livello centrale.
Gli interventi attuati dagli enti locali, pur importanti e fondamentali, furono comunque sempre e solo una supplenza, a volte basata più su sensibilità personali locali, buona volontà, alleanze territoriali con il terzo settore e poche risorse. Questo sviluppo, di conseguenza, non poté che procedere in "ordine sparso" e vide gli attori coinvolti "navigare a vista", a causa della quasi totale assenza di riferimenti normativi e/o indicazioni nazionali certe.
Dalla metà degli anni '80, è l'iniziativa delle realtà locali (comuni, associazionismo, terzo settore) a porre la questione di un maggior intervento delle istituzioni nazionali. Il legislatore del periodo, come già approfondito nel precedente capitolo, interviene soprattutto con provvedimenti che affrontano la questione giovanile dal punto di vista emergenziale. Ne sono esempi il Dpr 309 del 1990 (testo unico in materia di stupefacenti) e la legge 216 del 1991 (primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose).
Tuttavia, tra le leggi nazionali dello stesso decennio, merita un'attenzione particolare la 285 del 1997. Questa norma, intitolata "disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza" istituisce il fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza. Al suo interno, vengono disciplinate e finanziate esperienze aggregative che è interessante approfondire.
Le esperienze aggregative nella legge 285/1997
Nel contesto della legislazione prevalentemente emergenziale di quegli anni, la legge 285 costituisce un cambio di paradigma.
Come approfondiremo nel prossimo capitolo, dedicato ad un focus sui servizi per i giovani finanziati con questa legge, l'impatto della normativa è profondamente cambiato nei 25 anni dall'approvazione. E il suo impianto è stato in parte superato dalle riforme successive. Su tutte, il riordino delle competenze tra stato e regioni seguito alla modifica del titolo V, che ha spostato parte delle risorse stanziate con questo strumento direttamente nel fondo sociale.
Con la legge 285 emerge un punto di vista nuovo sulla questione giovanile.
Rimandando l'approfondimento di tali aspetti al prossimo capitolo, in questa sede interessa tuttavia sottolineare l'approccio innovativo della legge 285 su molte delle questioni relative alle politiche giovanili e ai luoghi di aggregazione.
Nello stanziare risorse per questo scopo, grande attenzione viene dedicata ai servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero. L'organizzazione del tempo libero dei minori non costituisce l'unica finalità della normativa, ma il modo in cui viene trattata segnala un punto di vista nuovo per quella fase storica. La promozione di attività educative va coltivata anche al di fuori delle istituzioni scolastiche, in relazione con il contesto in cui vive il minore. In sintesi, la lotta alla povertà educativa si combatte anche e soprattutto nei luoghi dove ragazze e ragazzi trascorrono il proprio tempo libero.
Devono essere rammentate, altresì, l’innovazione e la sperimentazione quali caratteri precipui delle azioni programmate a valere sulle risorse del Fondo, finalizzate anche alla realizzazione di progetti per il gioco ed il tempo libero, come pure per la migliore fruizione dell’ambiente urbano e naturale da parte dei minori.
Non solo. Della legge è utile sottolineare anche altri aspetti. In primo luogo, il ruolo di tali presidi (definiti servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero, art. 6) nel promuovere in concreto i progetti finanziati dal fondo.
1. Le finalità dei progetti (...) possono essere perseguite, in particolare, attraverso il sostegno e lo sviluppo di servizi volti a promuovere e a valorizzare la partecipazione dei minori a livello propositivo, decisionale e gestionale in esperienze aggregative, nonché occasioni di riflessione su temi rilevanti per la convivenza civile e lo sviluppo delle capacita' di socializzazione e di inserimento nella scuola, nella vita aggregativa e familiare.
2. I servizi di cui al comma 1 sono realizzati attraverso operatori educativi con specifica competenza professionale e possono essere previsti anche nell'ambito dell'attuazione del regolamento recante la disciplina delle iniziative complementari e delle attività integrative nelle istituzioni scolastiche (...).
In secondo luogo, i requisiti di professionalità richiesti nella costruzione del servizio: cioè la premessa per una comunità educante solida, duratura nel tempo ed efficace.
Terzo aspetto che qui preme sottolineare, il forte accento sul ruolo proattivo dei minori. Individuati non come meri fruitori passivi di un servizio, ma come agenti consapevoli e pienamente protagonisti di uno spazio loro funzionale. Si tratta di una questione centrale, dato che qualsiasi politica pubblica rivolta ai minori dovrebbe tenere in considerazione i 3 tipi di diritti in cui comunemente viene divisa la convenzione sui diritti dell'infanzia. Le cosiddette tre P, ovvero:
- provision rights: il diritto dei bambini di accedere ai servizi o beni materiali e immateriali (per esempio quello all’educazione o alla salute);
- protection rights: il diritto alla protezione da situazioni di rischio, danno e pericolo (come abuso e maltrattamento);
- promotion/partecipation rights: diritti che riconoscono il ruolo attivo del bambino come agente di cambiamento e portatore di idee e opinioni che devono essere prese sul serio.
Sintetizzando, e al netto delle criticità che saranno sottolineate nel prossimo capitolo, per molti aspetti la legge 285 segnala una visione avanti con i tempi da parte del legislatore. In particolare sul ruolo delle esperienze aggregative nel contrasto della povertà educativa. Ma quanto sono diffusi sul territorio nazionale i centri di aggregazione?
Il ruolo degli enti locali e l'utenza intercettata dai servizi comunali
Per comprenderlo meglio, siamo partiti dai dati Istat derivanti dall'indagine sugli interventi e i servizi sociali dei comuni. Con questa indagine, ogni anno vengono raccolti i dati relativi al sistema integrato dei servizi sociali, istituito dalla legge 328/2000. Si tratta della legge quadro che ha riorganizzato il sistema di interventi e servizi sociali in Italia, integrando all'interno di questo ambito anche quanto previsto dalla legge 285/1997:
Gli interventi del sistema integrato di interventi e servizi sociali (...) sono realizzati, in particolare, secondo le finalità delle leggi 4 maggio 1983, n. 184, 27 maggio 1991, n. 176, 15 febbraio 1996, n. 66, 28 agosto 1997, n. 285 (...)
Questa rilevazione dell'istituto nazionale di statistica riguarda quindi tutti gli interventi e servizi sociali che la legge 112/1998 ha attribuito alle regioni (con funzione prevalentemente programmatoria) e ai comuni, per la gestione amministrativa. Tra questi rientrano anche i servizi rivolti a giovani e famiglie.
(...) la legge regionale conferisce ai comuni ed agli altri enti locali le funzioni ed i compiti amministrativi concernenti i servizi sociali relativi a:
a) i minori, inclusi i minori a rischio di attività criminose;
b) i giovani;
c) gli anziani;
d) la famiglia; (...)
Per valutare l'offerta comunale di centri di aggregazione, dai dati rilasciati da Istat sui servizi sociali dei comuni, abbiamo isolato la sola categoria di intervento "centri di aggregazione/sociali". Si tratta di luoghi dove, in base quanto definito nel glossario Istat, è possibile “promuovere e coordinare attività ludico-ricreative, sociali, educative, culturali e sportive, per un corretto utilizzo del tempo libero".
Tale servizio presenta due soli tipi di utenza: quella giovanile (area di utenza "famiglie e minori") e quella anziana (area "anziani con 65 anni o più"). Abbiamo perciò isolato solo il numero di utenti afferenti alla prima categoria, ricavando un totale di 110.327 utenti dei centri di aggregazione per l'area di utenza che comprende i minori. Significa che, nel 2018, oltre 100mila persone hanno usufruito di questo tipo di servizi.
11,3 utenti dei centri di aggregazione ogni 1.000 residenti sotto i 18 anni in Italia.
I centri di aggregazione si caratterizzano per una frequentazione molto variabile, che solitamente oscilla tra gli 11 e i 20 anni, ma che può riguardare anche ragazzi più piccoli o più grandi, a seconda dei casi. Per valutare la diffusione potenziale del servizio, abbiamo ritenuto opportuno adottare un criterio omogeneo, mettendo in relazione questo dato con il numero di minori residenti nello stesso anno. Un indicatore di sintesi che ci consente di valutare, pur con tutti i limiti del caso, la densità del servizio nei diversi territori, rispetto a coloro che ne sono (o ne saranno nel giro di pochi anni) l'utenza potenziale.
La diffusione di centri aggregativi sul territorio nazionale
Rispetto a una media di circa 11 utenti dei centri di aggregazione ogni 1.000 residenti in Italia con meno di 18 anni, il rapporto varia molto tra le diverse aree del paese.
Risultano infatti maggiormente diffusi nel nord-est, con 26,4 utenti ogni 1.000 minori residenti. Un dato che supera di gran lunga la media italiana e anche quello delle altre macroregioni. Le isole (11,6) e il nord-ovest (10,5) mostrano un rapporto maggiormente in linea con quello nazionale rispetto al centro (8,1). Nel sud sono solo 2,4 gli utenti ogni 1.000 residenti sotto i 18 anni.
Nel sud continentale meno utenti dei centri aggregativi rispetto ai minori residenti
Numero di utenti dei centri di aggregazione rispetto alla popolazione residente 0-17 anni (2018)
FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: lunedì 31 Dicembre 2018)
Questo dato può essere ulteriormente approfondito nel confronto tra regioni. Quelle dell'Italia nord-orientale, e in particolare Friuli-Venezia Giulia (77,6), Trentino-Alto Adige (54,9) e Emilia-Romagna (23,8) si trovano ai primi posti nel rapporto tra utenti dei centri di aggregazione e minori residenti. Segue la Sardegna (18,8), il cui dato è quasi doppio rispetto all'altra isola (in Sicilia sono 9,6 gli utenti ogni 1.000 bambini e ragazzi residenti). Anche Liguria (15,5), Umbria (14), Marche (12,9) e Lombardia (12) si collocano al di sopra della media nazionale.
In Friuli e Trentino oltre 50 utenti dei centri di aggregazione ogni 1.000 minori residenti
Numero di utenti dei centri di aggregazione rispetto alla popolazione residente 0-17 anni (2018)
I centri di aggregazione / sociali, da glossario Istat, sono definiti come luoghi “nei quali promuovere e coordinare attività ludico-ricreative, sociali, educative, culturali e sportive, per un corretto utilizzo del tempo libero. Per utenti si intende il numero di persone che hanno beneficiato del servizio durante l’anno”.
Nei dataset Istat, i dati sui centri di aggregazione riguardano due aree tematiche: “famiglia e minori” e “anziani”. Ai fini dell’analisi sono stati isolati solo gli utenti relativi all’area “famiglia e minori” e messi in relazione con il numero di residenti 0-17 in ciascun territorio.
FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: lunedì 31 Dicembre 2018)
Con l'esclusione della Valle d'Aosta, le ultime regioni per numero di utenti dei centri di aggregazione rispetto ai residenti sotto i 18 anni appartengono tutte al mezzogiorno continentale. In particolare Puglia (3,3), Basilicata (2,9), Molise (2,3), Calabria (2,1) e Campania (1,1).
Tuttavia, anche all'interno delle singole regioni la situazione non è affatto omogenea tra un territorio e l'altro. Il primo elemento che si coglie osservando la mappa, è una evidente maggiore concentrazione nelle province dell'Italia centro-settentrionale. In particolare Trieste e Trento, le uniche due dove il rapporto utenti/residenti supera 100. Ma anche Pordenone (54,4), Modena (43,9), Sondrio (41,5), Nuoro (38,4), Oristano (37,6) e Ferrara (35,8).
Centri di aggregazione: densità maggiore nelle province del centro-nord
Numero di utenti dei centri di aggregazione rispetto alla popolazione residente 0-17 anni (2018)
FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: lunedì 31 Dicembre 2018)
In parallelo alla maggiore concentrazione nel centro-nord del paese, è interessante anche osservare i gap interni alle regioni meridionali. In Sicilia spicca il dato della città metropolitana di Palermo, con 34,8 utenti per 1.000 residenti 0-17 anni, rispetto a una media regionale pari a 9,6. In Puglia si segnala il dato di Brindisi (16,8). In Calabria e Campania invece nessuna realtà locale supera la media nazionale. Nella prima è la provincia di Catanzaro a mostrare il rapporto più elevato (7,2). Nella seconda è Caserta, con appena 3 utenti ogni 1.000 minori.
Scarica, condividi e riutilizza i dati
Scarica i dati, regione per regione.
I contenuti dell'Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l'impresa sociale Con i Bambini nell'ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell'articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l'obiettivo di creare un'unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi agli utenti dei centri di aggregazione e ai residenti sono di fonte Istat.
Foto credit: Rachel Coyne (Unsplash) - Licenza