Gli effetti della pandemia sull’occupazione degli stranieri Migranti
Rispetto ai cittadini italiani, mediamente gli stranieri residenti nel nostro paese percepiscono salari e pensioni inferiori. Sono inoltre stati colpiti in maniera sproporzionale dalla pandemia, e molti di loro sono diventati inattivi.
venerdì 14 Gennaio 2022 | Migranti
Gli immigrati rientrano tra le categorie più vulnerabili della nostra società e di conseguenza hanno subito in modo più pesante gli effetti socio-economici della pandemia.
Tra il 2019 e il 2020, le condizioni del mercato del lavoro si sono deteriorate globalmente sia per i cittadini autoctoni che per quelli stranieri. Ma questi ultimi sono stati colpiti più duramente e, siccome già prima dell’emergenza sanitaria si trovavano in condizioni lavorative peggiori, lo scarto con gli autoctoni è aumentato. A dirlo è il rapporto annuale sugli stranieri nel mercato del lavoro del ministero del lavoro.
Le condizioni retributive dei lavoratori stranieri in Italia
La forza lavoro di nazionalità non italiana rappresenta un contributo importante all’economia del nostro paese. Parliamo infatti di circa 3,5 milioni di lavoratori attivi.
10% della forza lavoro in Italia è costituita da cittadini stranieri, secondo il ministero del lavoro.
Quanto alla retribuzione, però, questi vivono ancora in condizioni di maggiore difficoltà rispetto ai cittadini italiani. Secondo Istat, nel 2017 tra lavoratori di nazionalità italiana e non, vi era un differenziale retributivo pari al 13,8%. I primi guadagnavano mediamente 11,53 euro l’ora e i secondi 10,13.
All’interno della categoria stranieri ci sono inoltre differenze significative tra i cittadini dei paesi più ricchi dell’Ue (quelli che facevano parte dell’Unione prima dell’allargamento verso est) e gli altri, sia i comunitari di acquisizione più recente (tra cui polacchi, rumeni e bulgari) che gli extra-comunitari.
Le retribuzioni degli stranieri
Gli importi medi annui di salari e pensioni degli stranieri residenti in Italia (2020)
Sono indicati gli importi medi annui. Per quanto riguarda i salari, sono riferiti ai lavoratori dipendenti (del settore agricolo e non) e ai lavoratori domestici. Sono invece incluse tra le pensioni quelle indennitarie, assistenziali e ivs. Con “Ue-15” si intende i cittadini provenienti dai paesi che facevano parte dell’Unione prima dell’allargamento verso l’Europa orientale (prima del 2004), esclusa l’Italia. Mentre con “Altri paesi Ue” si fa riferimento ai cittadini di altri stati che oggi fanno parte dell’Unione, ma che non sono inclusi nel gruppo Ue-15.
FONTE: elaborazione openpolis su dati Inps
(ultimo aggiornamento: venerdì 24 Dicembre 2021)
Nel 2020 in Italia le persone nate in paesi dell'Ue-15 avevano un reddito annuo medio di oltre 23mila euro e delle pensioni medie superiori ai 17mila. Circa il doppio dei salari percepiti dai cittadini extra-Ue e da quelli provenienti dagli stati entrati più recentemente nell'Unione (12mila euro).
I cittadini dell'Ue-15 percepiscono stipendi e pensioni doppi rispetto a quelle degli altri stranieri.
Dal punto di vista del reddito, non ci sono differenze tra gli stranieri extra-comunitari e i comunitari di recente acquisizione. Per quanto riguarda invece le pensioni, sono gli extra-comunitari a registrare le cifre più basse. Parliamo di poco più di 7.500 euro l'anno, circa 1.200 in meno rispetto agli altri cittadini Ue post-allargamento e quasi 10mila euro in meno rispetto a quelli dell'Ue pre-allargamento.
L'impatto della pandemia sull'occupazione degli stranieri
Nonostante un lavoratore su 10 in Italia sia straniero, il 35% delle persone che hanno perso il proprio impiego durante la crisi pandemica era di nazionalità non italiana.
La perdita dell'impiego ha interessato ugualmente lavoratori europei e extra-comunitari. I primi erano, nel 2019, circa 821mila, e sono passati nel 2020 a 763mila, ovvero un calo pari al -7,1%. I secondi invece erano circa 1,68 milioni, una cifra che l'anno successivo è scesa a 1,58, con un calo quindi del -6%. Un fenomeno che ha invece toccato più marginalmente i lavoratori italiani, che sono diminuiti dell'1,4%.
Con la pandemia, cala l’occupazione tra gli stranieri
Il tasso di occupazione per nazionalità, tra 2017 e 2020
I dati si riferiscono ai cittadini di età compresa tra i 15 e i 64 anni. Non c’è differenziazione tra Ue-15 e gli altri paesi dell’Unione, ma solo stranieri comunitari e non.
FONTE: elaborazione openpolis su dati del ministero del lavoro
(ultimo aggiornamento: venerdì 24 Dicembre 2021)
Per contro, non è aumentata la disoccupazione in questa fase. Infatti ad essere cresciuti significativamente sono stati gli inattivi, ovvero le persone senza impiego che non si sono messe alla ricerca di un nuovo posto di lavoro.
Mentre gli inattivi di cittadinanza italiana sono aumentati del 3,1% durante la pandemia, nel caso degli europei questa cifra si è attestata al 18,7% e, per gli extra-comunitari, al 15,1%.
Per quanto riguarda invece le persone in cerca di impiego, queste sono diminuite mediamente del 10,5%. Una cifra che si attesta al -10,1% tra gli italiani e che scende al -11,6% tra i cittadini extra-comunitari, arrivando fino al -13,9% tra gli europei.
La crisi economica ha determinato non solo un consistente ridimensionamento della base occupazionale, ma anche una netta contrazione dei disoccupati; il fenomeno più evidente è stato un chiaro travaso dalle forze lavoro all’inattività.
Nel caso dei cittadini non europei, questa dinamica è stata particolarmente evidente nelle regioni del nord-ovest, dove nel passaggio dal 2019 al 2020 gli occupati sono diminuiti del -7,9%, mentre gli inattivi sono aumentati del 21,9%. Oltre ad aver colpito maggiormente le giovani donne.
-27,4% le lavoratrici extra-comunitarie di età compresa tra i 15 e i 24 anni, tra 2019 e 2020.
L'aumento dell'inattività è però solo in parte imputabile alla perdita del lavoro. Tra le persone di nazionalità extra-comunitaria che hanno perso il posto di lavoro nel corso della pandemia infatti la metà è finita nella disoccupazione (hanno iniziato a cercare un altro impiego) e l'altra metà nell'inattività. Mentre la quota di nuovi inattivi in questa categoria è stata più elevata tra i cittadini italiani (63%).
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