Il nuovo Patto sulle migrazioni chiude le frontiere dell’Europa Migranti
I cinque pilastri dell’accordo non toccano i cardini del regolamento di Dublino. In compenso, sembrano voler inasprire le norme volte all’esclusione delle persone migranti dal vecchio continente, minacciando i loro diritti fondamentali. Un’analisi di un patto definito “storico”.
- Il patto è composto da 5 pilastri: gestione dell'asilo, risposta alle crisi, gestione delle procedure, Eurodac e screening.
- Le norme sulle "crisi migratorie" sembrano lasciare discrezionalità di azione ai paesi "sotto pressione".
- Le nuove "procedure di confine" sono pensate soprattutto per i cosiddetti "migranti economici".
- Il patto, che sembra minacciare i diritti fondamentali delle persone migranti, viene contestato dalle organizzazioni del settore in tutta Europa.
Lo scorso 20 dicembre il consiglio dell’Unione europea e il parlamento europeo hanno raggiunto l’accordo sul nuovo Patto migrazioni e asilo. Si tratta di un pacchetto legislativo che riforma le politiche migratorie nel vecchio continente.
Il patto si sostanzia in una serie di dispositivi che irrigidiscono le regole per l’accesso di richiedenti asilo e rifugiati nei paesi membri dell’Ue, dando continuità a una tendenza che ha portato, in questi anni, l’Europa a chiudere sempre di più le sue frontiere esterne.
Per questo i documenti prodotti stanno sollevando forti critiche da parte di molte organizzazioni che si occupano in Italia e in Europa di questo fenomeno.
L’accordo, che consiglio e parlamento si sono impegnati a ratificare formalmente entro la prossima primavera (prima delle elezioni europee), era stato proposto dalla commissione europea nel settembre 2020.
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La fumata bianca è arrivata al termine di negoziati finali durati tre giorni, prima dei quali la presidenza di turno del consiglio (Spagna) aveva proposto sul tavolo un documento di discussione finale, che siamo in grado di proporvi.
De-responsabilizzazione e securitarismo
Nonostante le massime cariche europee – come la presidente del parlamento Roberta Metsola e la commissaria agli affari interni Ylva Johansson – abbiano parlato di “solidarietà” e “protezione per i vulnerabili”, la postura del futuro impianto normativo suggerisce una chiusura nei confronti dei cittadini dei paesi terzi, già radicata nel vecchio continente, attraverso per esempio le migliaia di chilometri di muri costruiti lungo i confini est, dalla Serbia fino alla Lituania.
Al tempo stesso, i negoziatori parlano di un accordo basato sulla “equa condivisione delle responsabilità“. In realtà dai documenti sembra emergere una certa de-responsabilizzazione dell’Unione europea, più o meno esplicita a seconda degli ambiti di intervento e dell’intensità dei flussi. Inoltre aumenta la discrezionalità della singola nazione sul tema, soprattutto nei periodi di “crisi”, come vedremo.
Tutte le parti dell’accordo sembrano essere guidate dal paradigma secondo il quale la persona migrante non rappresenta una risorsa – in termini di arricchimento culturale, socio-economico e nell’ottica al contrasto alla forte denatalità che caratterizza il vecchio continente – bensì un “problema” da affrontare con piglio securitario.
I cinque pilastri del patto
Il nuovo Patto migrazioni e asilo è composto da cinque pilastri: il regolamento sulla gestione dell’asilo e delle migrazioni; la risposta alle crisi migratorie; le procedure di asilo; l’implementazione dello European Dactyloscopie (Eurodac) e le nuove procedure di screening. Vediamo i tratti salienti di ognuna di queste disposizioni, consapevoli che dei dettagli si potrà parlare solo dopo l’approvazione formale del patto e la sua entrata in vigore.
Per quanto riguarda il nuovo regolamento su asilo e migrazione è bene premettere che non viene modificata l’anima del regolamento di Dublino (da più parti contestata negli ultimi anni), secondo la quale la persona migrante deve necessariamente chiedere asilo al primo paese di approdo in Ue.
Si tratta di un meccanismo che interessa non poco gli stati di frontiera come l’Italia, e che rimarrà tale anche all’entrata in vigore del patto. Anzi, la responsabilità del primo paese di ingresso aumenta a 20 mesi (periodo ridotto a un anno per chi viene salvato in mare).
I principi fondanti del regolamento di Dublino non vengono modificati.
Di nuovo c’è invece un meccanismo di solidarietà obbligatoria: ogni anno verrà costituito un “pool di solidarietà” attraverso cui i paesi membri dovranno sostenere quelli definiti “sotto pressione migratoria“. Potranno farlo in due modi: con la relocation (la redistribuzione delle persone) o con un contributo finanziario, proporzionale alla dimensione della popolazione e al pil nazionale.
Questo pool ha una soglia minima di 30mila ricollocamenti e 600 milioni di euro, mentre ogni ricollocamento può essere rimpiazzato con un contributo del paese membro a quello “sotto pressione” dell’importo di 20mila euro per ogni mancato ricollocamento.
20mila euro è la cifra che un paese membro potrà pagare per ogni mancato ricollocamento.
Non è stato al momento dettagliato chi gestirà questi fondi e con quale cadenza potranno essere erogati, nel documento viene specificato che potranno servire anche per “il finanziamento di azioni nell’Ue e nei paesi terzi“, quindi per la protezione delle frontiere esterne, attraverso accordi con nazioni extra-europee, come già avviene per esempio in Libia e Turchia.
I contributi finanziari sosterranno le azioni dell’UE nel settore della migrazione, dell’accoglienza e dell’asilo. Gli Stati membri possono anche fornire sostegno ad azioni intraprese o in relazione a paesi terzi con un impatto diretto sui flussi migratori verso l’Ue.
Un altro dei pilastri del nuovo patto riguarda la risposta alle crisi migratorie. Sono queste le norme che, a una prima analisi, sembrerebbero permettere maggiore flessibilità dei singoli paesi nella gestione delle richieste d’asilo.
L’Unione europea e le richieste di asilo negli ultimi 10 anni
Le richieste di asilo presentate in paesi dell’Unione europea tra il 2014 e il 2023 distinte tra primo e secondo semestre
FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(consultati: giovedì 14 Settembre 2023)
In caso di “crisi” lo stato membro dovrà presentare una richiesta motivata alla commissione, che la esaminerà entro due settimane. Non sembrano esserci, almeno a leggere i documenti provvisori, criteri rigidi per determinare cosa effettivamente sia una “crisi migratoria”.
In caso di “crisi migratoria” ai singoli stati saranno concesse ampie deroghe per le procedure di asilo.
Una volta approvata l’istanza del paese membro, questo avrà mani più libere sia nell’effettuare procedure di frontiera, che per registrare più velocemente le domande di asilo. È in questo documento che si parla anche della cosiddetta “strumentalizzazione” dei migranti, ossia delle iniziative che si dovranno intraprendere nel caso in cui un paese terzo strumentalizzasse i flussi migratori danneggiando un membro Ue con cui confina. Non è esplicito ma comunque evidente il riferimento ai migranti che negli ultimi anni hanno tentato di entrare nei paesi dell’Europa orientale attraverso i confini con Russia e Bielorussia. In questi casi è prevista un’ampia gamma di deroghe.
Ci sono poi novità importanti legate alla procedura di asilo. Viene istituita una border procedure (procedura di confine) applicata a determinate categorie di persone migranti: quelli che mentono alle autorità, sono considerati un pericolo per la sicurezza, o semplicemente che provengono da paesi ai cui cittadini non viene di solito concesso l’asilo, cioè con un tasso di riconoscimento inferiore al 20%. Una soglia che, nella circostanza di un paese in stato di “crisi” migratoria, verrà alzata addirittura al 50%, mentre nel caso di “strumentalizzazioni” potrà essere applicata a tutti i migranti al confine.
Le “procedure di confine” puntano a impedire l’entrata ai cosiddetti “migranti economici”.
La procedura di confine è stata pensata in sostanza per i cosiddetti “migranti economici“, ossia per chi arriverebbe da paesi non ritenuti in guerra. Si tratta di una categoria che però non ha mai avuto un inquadramento giuridico chiaro, ma nei fatti rappresenta da anni un’espediente politico-mediatico entrato nel dibattito pubblico.
Principalmente si tratta di persone che hanno pochissime possibilità di ottenere asilo perché provengono da un Paese che non è in guerra. Spesso sono migranti venuti a cercare lavoro.
La capacità per lo svolgimento delle procedure di frontiera sarà di 30mila posti in contemporanea, a livello europeo.
Le procedure di identificazione saranno implementate con i dati biometrici, anche per bambini e bambine sotto i 14 anni.
Gli ultimi due dispositivi che compongono il nuovo patto sono più tecnici, ma non meno significativi. Il primo riguarda l’Eurodac, il database comunitario per le impronte digitali dei richiedenti asilo, attivo nei 31 paesi europei. Sarà implementato con i dati biometrici e verrà abbassata l’età di obbligatorietà dell’identificazione, da 14 a 6 anni.
Il secondo concerne le procedure di screening (registrazione e identificazione) dei migranti. Potrà essere effettuato ovunque (sia alle frontiere che all’interno del territorio), ma i cittadini di paesi terzi sottoposti a screening dovranno essere a disposizione delle autorità, che con lo scopo di effettuare i controlli potranno detenerli. In compenso, “I deputati hanno garantito un meccanismo di monitoraggio forte e indipendente in ciascuno stato membro per proteggere i diritti fondamentali delle persone sottoposte allo screening”, scrive il parlamento europeo.
Il patto e i diritti fondamentali
Tutte queste norme, che hanno l’obiettivo di rispondere anche a un’opinione pubblica per buona parte ostile alle popolazioni migranti, arrivano alla fine di un anno che ha certo visto un aumento degli arrivi in Europa, ma in misura forse minore rispetto alla percezione comune e alla strumentalizzazione propagandistica nel dibattito pubblico.
Appena pochi giorni fa, infatti, l’agenzia europea Frontex ha certificato che nei primi 11 mesi del 2023 gli ingressi in Ue sono stati circa 355mila, aumentati del 17% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Parliamo di un numero di persone pari allo 0,07% della popolazione dell’Unione europea.
Se il mar Mediterraneo centrale si conferma la rotta più attraversata (circa 152mila persone, +61%), i Balcani occidentali hanno visto una diminuzione degli ingressi del 28%. E proprio la cosiddetta “rotta balcanica” (percorsa via terra) sembra essere tra i principali obiettivi delle norme del patto. Forse ancora di più che i canali di ingresso da sud via mare, dove la chiusura delle frontiere e procedure velocizzate ai confini sono per natura più complicati.
In attesa dell’approvazione definitiva, il patto viene contestato da organizzazioni di tutta Europa.
Come abbiamo accennato in apertura, le nuove norme – pensate per una maggiore discrezionalità dei paesi membri negli accordi con i paesi terzi (come il recente protocollo tra Italia e Albania), oltre che per trattenere quanto più possibile le persone migranti ai confini del continente – vengono contestate aspramente dalla maggior parte delle organizzazioni del settore.
Un esempio, in Italia, è il forum Per cambiare l’ordine delle cose, che ha recentemente lanciato una road map in vista dell’approvazione del patto al parlamento europeo, con l’auspicio di contribuire a rafforzare l’opposizione al patto anche in sede parlamentare.
Il Patto asilo e migrazioni, infatti, rischia di limitare fortemente i diritti fondamentali di migliaia di persone che, in fuga da guerra, violenze, fame e povertà, tentano di arrivare in Europa per costruirsi una vita migliore.
Foto: migranti in un campo profughi a Trieste – Mattia Fonzi