Il ruolo dei prefetti nel corso dell’emergenza Covid-19 Coronavirus
La figura del prefetto raramente è al centro dell’attenzione pubblica. Tuttavia si tratta di dirigenti pubblici con poteri molto importanti sia in momenti di ordinaria amministrazione che, a maggior ragione, nel corso di un’emergenza.
mercoledì 17 Giugno 2020 | Potere politico
In Italia la figura del prefetto ricopre un ruolo molto importante anche se troppo spesso sottovalutato nel dibattito pubblico. Oltre a occuparsi di ordine pubblico e sicurezza alle prefetture sono attribuite anche gran parte delle funzioni esercitate a livello periferico dallo stato. Un compito che emerge con ancora più forza quando, per ragioni diverse, il ruolo e i poteri attribuiti alle amministrazioni locali non risultano sufficienti a fronteggiare la situazione.
In questi mesi di emergenza si è parlato molto delle strutture create ad hoc per fronteggiare l’emergenza sia a livello nazionale che locale. Unità di crisi, task force e comitati tecnico scientifici possono essere strumenti utili. Nella maggior parte dei casi si tratta però di organi consultivi, con competenze spesso poco chiare, e senza reali poteri né nel definire le politiche né tanto meno per attuarle.
Al contrario ai prefetti sono attribuite funzioni cruciali in caso di emergenza sia dalla normativa ordinaria che da quella che è stata emanata nel corso della crisi sanitaria.
Il ruolo del prefetto a garanzia dell’ordine pubblico
Il prefetto rappresenta l’autorità provinciale di pubblica sicurezza e presiede il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza. Può emanare ordinanze e decreti a tutela dell’ordine pubblico e coordina le attività delle forze dell’ordine.
Già questo basta a capire come sia importante il ruolo del prefetto in una situazione di crisi. Il codice della protezione civile tuttavia attribuisce poteri aggiuntivi a quest’organo nel corso di situazioni di emergenza. In questo caso infatti le competenze del prefetto relative all’ordine pubblico e la sicurezza vengono ampliate a “tutti i servizi di emergenza” a livello provinciale.
Leggi il bilancio della fase 1 del
12 milioni e 360mila i controlli effettuati sulle persone tra l’11 marzo e il 3 maggio.
Nuove competenze attribuite nel corso dell’emergenza
Nonostante questo, la portata della crisi coronavirus, assieme alla necessità di coordinare alcuni aspetti dell’emergenza a livello centrale, ha spinto a marzo il governo ad ampliare ulteriormente il ruolo dei prefetti. Si tratta in particolare di due decreti legge e un decreto del presidente del consiglio dei ministri, oltre che delle misure operative della protezione civile.
Qui si disponeva infatti che le unità di crisi regionali dovessero mantenere un contatto costante con la prefettura del capoluogo di regione. Inoltre a livello provinciale è proprio alle prefetture che è stato delegata l’attivazione del centro di coordinamento dei soccorsi.
Intanto con il decreto cura Italia veniva attribuito al prefetto (oltre che al capo della protezione civile) il potere di requisire alberghi o altri immobili per ospitare persone sottoposte a misure di quarantena.
Viene poi conferita al prefetto autorità su ulteriori organi dello stato. Innanzitutto le forze armate, alle quali può attribuire la qualifica di agenti di pubblica sicurezza (Dl 19/2020), al fine di assicurare le misure per fronteggiare l’emergenza. Alle forze armate si aggiungono in un secondo momento le forze di polizia municipale (allo stesso scopo), il personale ispettivo delle aziende sanitarie locali e quello dell’ispettorato del lavoro per assicurare le misure di contenimento nei luoghi di lavoro.
È stato attribuito alle prefetture anche il compito di vigilare che le aziende rimaste aperte durante il lockdown fossero effettivamente in regola.
La necessità della prefettura di disporre di personale aggiuntivo e specializzato per fare controlli sui luoghi di lavoro deriva anche in questo caso da un ampliamento delle competenze attribuite agli uffici territoriali del governo. Un decreto del presidente del consiglio dei ministri del 22 marzo assegna infatti alle prefetture anche un ruolo centrale, durante la fase del lockdown, nel fornire alle aziende i permessi per rimanere aperte.
Il meccanismo prevedeva che alcune aziende, necessarie al mantenimento dei servizi essenziali e identificate attraverso i codici Ateco, fossero esplicitamente autorizzate a proseguire nelle loro attività. Le aziende che non rientravano in questo elenco, ma che ritenevano di far parte della filiera dei servizi essenziali, potevano comunque rimanere operative previa comunicazione al prefetto.
Spettava poi all’ufficio territoriale del governo verificare la sussistenza di giustificate ragioni per mantenere aperta l’attività ed eventualmente ordinarne la sospensione.
L’intera provincia di Padova conta oltre 100mila imprese e le autocertificazioni arrivate nelle ultime tre settimane superano quota 6mila.
È evidente che una mansione del genere ha imposto un enorme carico di lavoro al personale amministrativo delle prefetture. Personale peraltro impegnato in attività ben diverse nel corso della gestione ordinaria dei propri uffici.
La politica ha delegato alle prefetture compiti che non gli appartengono.
L’impressione è che si sia trattato di una scelta che ha deresponsabilizzato il livello politico. Evitando di questo modo scelte che sarebbero potute apparire sia troppo restrittive che eccessivamente permissive a seconda dell’andamento dell’epidemia. La valutazione iniziale sull’appartenenza di ciascuna azienda alla filiera delle attività essenziali veniva infatti lasciata ai responsabili delle aziende, attraverso un’auto certificazione. L’attività di verifica della veridicità delle autocertificazioni veniva invece attribuita alle prefetture. Ovvero a strutture neutre da un punto di vista politico, anche se prive di una specifica competenza e già ampiamente impegnate su vari fronti dell’emergenza.
I prefetti come articolazione territoriale dello stato centrale
Gli uffici territoriali del governo, come suggerisce il nome stesso, sono organi attraverso cui lo stato centrale amministra molte delle sue funzioni svolte a livello periferico. Si tratta di strutture che esistono nel nostro ordinamento da molto tempo, con meccanismi ampiamente rodati. Attraverso queste in effetti il governo dispone di una rete capillare attraverso cui può agire direttamente a livello provinciale e da lì, tramite il prefetto, arrivare a ogni sinolo comune. Il sindaco infatti, nel suo ruolo di ufficiale di governo, risponde direttamente al prefetto.
Peraltro dato che questi organi hanno competenza a livello provinciale, il venir meno di un organo con una forte legittimazione democratica quali erano le province prima della riforma, ha ulteriormente ampliato il ruolo dei prefetti. Attualmente quello di presidente della provincia è un ruolo ricoperto da sindaci, spesso di piccoli comuni. Questi non svolgono il proprio mandato a tempo pieno e inoltre sono eletti da altri sindaci e da consiglieri comunali, piuttosto che dai cittadini. È quindi evidente che, al di là delle disposizioni di legge previste per casi specifici, l’autorità di un presidente di provincia risulta estremamente ridimensionata di fronte a quella del prefetto.
In questo caso in particolare però è la legge ad attribuire alle prefetture il ruolo di primo piano a livello provinciale.
In occasione degli eventi emergenziali […] il Prefetto […] assume, nell’immediatezza dell’evento in raccordo con il Presidente della giunta regionale e coordinandosi con la struttura regionale di protezione civile, la direzione unitaria di tutti i servizi di emergenza da attivare a livello provinciale.
Con lo svilimento del ruolo delle province cresce quello delle prefetture.
È da tener presente tuttavia che il codice della protezione civile, è stato emanato nel 2018 e dunque dopo il ridimensionamento del ruolo delle province. La legge che disciplinava in precedenza la protezione civile (l. 225/1992) in effetti gli attribuiva alcune competenze.
In particolare era previsto (art. 13) che in ciascuna provincia fosse presente un comitato provinciale di protezione civile. Del comitato faceva parte il prefetto ma a presiederlo era il presidente della provincia. Inoltre era previsto che la provincia svolgesse i compiti relativi alla raccolta e all’elaborazione dei dati di protezione civile.
Il nuovo codice, al contrario, prevede che sia il prefetto ad assicurare lo scambio di informazioni con la protezione civile, la regione e i comuni (art. 9). Allo stesso tempo però è previsto (art. 11) che alle regioni sia attribuita la gestione della sala operativa, cui spetta il compito di assicurare lo scambio di informazioni con la protezione civile, le prefetture e i comuni.
Con una norma strutturata in questa maniera non c’è quindi da stupirsi come, quando il sindaco di Bergamo Gori lamenta la mancanza di dati di dettaglio, diventi difficile ricostruire se eventuali responsabilità vadano ricercate in regione o in prefettura.
Una catena di comando chiara e diretta
In questi giorni si parla molto dell’inchiesta della procura sulla mancata attuazione della zona rossa nel bergamasco. Inizialmente si è dibattuto su chi avesse la competenza ad attuare una zona rossa, anche se in realtà è emerso abbastanza rapidamente come la competenza sia da attribuire sia al governo che alle regioni che, più avanti, lo hanno fatto in diverse occasioni.
Evidenziato questo, diventa interessante notare come nella fase iniziale della crisi sanitaria, quando ancora non era stata strutturata la macchina dell’emergenza, sia stato il governo ad attuare la prima zona rossa a Codogno, servendosi proprio della locale prefettura sia per ricevere rapidamente le informazioni che per attuare le proprie decisioni.
La notte del 20 febbraio mi hanno avvisato del primo caso di Covid-19 a Codogno. Il direttore generale dell’azienda ospedaliera, Massimo Lombardo, mi ha detto che la situazione era grave. Due ore dopo ero in videoconferenza con il ministro dell’interno, Luciana Lamorgese, e quello della difesa Guerini.
In effetti questo episodio esprime chiaramente l’efficacia di una catena di comando corta e ben strutturata. Una volta che il direttore generale dell’azienda ospedaliera locale ha avvisato il prefetto, questo interagisce direttamente con il governo, senza ulteriori passaggi intermedi e senza dover rispondere a nessun altro.
Un ruolo cruciale privo di legittimità democratica
Le prefetture dunque hanno svolto un ruolo fondamentale nel corso dell’emergenza. In alcuni casi in effetti la capacità operativa di questi organi sembra giustificare una scelta di questo tipo. Non mancano però situazioni in cui sono state attribuite agli uffici territoriali del governo competenze lontane dai loro compiti ordinari.
Più in generale l’attribuzione di nuove competenze alle prefetture, sia in maniera esplicita sia per mancanza di alternative qualificate (le province), ha messo in capo a soggetti privi di legittimazione democratica sempre maggiori responsabilità.
Un ulteriore passo indietro della politica quindi di fronte alla gestione di un fenomeno complesso e colmo di responsabilità.
Photo credit: ministero dell’interno