La condizione nelle carceri dopo l’emergenza Covid Europa

La pandemia è stata particolarmente dura per chi l’ha vissuta in stato di detenzione. Approfondiamo la situazione del dopo emergenza rispetto a 3 aspetti: affollamento, morti nelle carceri e percorsi di reinserimento, in Italia e in Europa.

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Gli oltre due anni trascorsi hanno segnato duramente la vita di tutti. Una condizione che, come abbiamo avuto modo di raccontare, è stata particolarmente difficile per chi ha vissuto questo periodo dentro le carceri.

Dopo la pandemia 3 questioni appaiono centrali nella condizione dei detenuti.

A distanza di alcuni mesi, quale sia la situazione nelle carceri italiane ed europee nella fase post pandemica è una domanda che rimane sottotraccia nel dibattito pubblico. Come purtroppo accade spesso su questo tema, le questioni legate alla vita dei detenuti riemergono solo in occasione di proteste o fatti di cronaca, come quelli avvenuti di recente nel carcere di Cremona.

Attraverso i dati disponibili, raccolti dalle istituzioni pubbliche e anche dalle associazioni attive sul tema, abbiamo provato ad approfondire meglio, concentrandoci su 3 aspetti. La questione del sovraffollamento, che sembra tornare centrale con la fine dell’emergenza. In secondo luogo, le morti in carcere, in particolare i casi di suicidio. Un problema da non sottovalutare visto l’impatto della crisi pandemica sulle condizioni dei carcerati e anche dal punto di vista della salute mentale.

Infine, il ruolo della formazione e del lavoro per favorire il reinserimento. E adempiere a quella che – come a volte si tende a dimenticare – dovrebbe essere la missione costituzionale degli istituti di pena.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato

Dopo il Covid, torna a crescere l’affollamento delle carceri

Alla vigilia della pandemia, erano 10 gli stati Ue caratterizzati da sovraffollamento delle carceri. Tra questi, l’Italia spiccava come uno dei sistemi penitenziari europei più problematici. Il dato italiano era infatti il secondo peggiore in Ue, con circa 120 detenuti ogni 100 posti disponibili. Una quota superata negativamente solo da Cipro (134,6 su 100), mentre il paese con il minor numero di detenuti effettivi rispetto ai posti disponibili all’inizio del 2020 era la Germania (69 su 100).

10 gli stati Ue in cui il tasso di occupazione delle carceri superava il 100% alla vigilia dell’emergenza.

Il Covid ha dimostrato l’insostenibilità del sovraffollamento.

La pandemia ha completamente sconvolto tale assetto, data l’incompatibilità tra una situazione di sovraffollamento e le politiche di contenimento del contagio. Ciò ha portato i diversi paesi europei ad adottare un mix di misure: talvolta deflattive, per ridurre il numero di detenuti tra i reati meno gravi, più spesso restrittive, come la sospensione dei colloqui e degli ingressi esterni di persone con cui i detenuti svolgevano attività lavorative, educative, formative e ricreative. Tali misure, come sottolineato dalle associazioni per la tutela dei diritti dei detenuti, sono state molto spesso di natura emergenziale, contribuendo al peggioramento della condizione di vita in carcere.

Con queste premesse [sovraffollamento, scarse condizioni igienico-sanitarie e scarsa areazione dei luoghi chiusi], e sapendo che il propagamento delle malattie infettive in carcere può essere molto veloce, i governi hanno messo in atto diversi tipi di misure volte a evitare l’ingresso del virus negli istituti e, più raramente, anche a diminuire il numero dei detenuti. Misure che purtroppo non hanno avuto un ampio respiro sistemico ma si sono limitate al contrasto emergenziale.

In Italia, una misura deflattiva è stata applicata nei casi di pene inferiori ai 18 mesi (anche come periodo residuo di una sentenza più lunga). Il decreto legge 18/2020 ha infatti previsto il trasferimento in strutture di assistenza e cura o direttamente presso l’abitazione del detenuto, con una serie di esclusioni, ad esempio per motivi disciplinari e di pericolosità sociale. In conseguenza di questa misura, il tasso di occupazione degli istituti penitenziari è diminuito rapidamente. Passando dai 120 detenuti ogni 100 posti rilevati a febbraio 2020 a 114 nel mese successivo, per poi scendere ulteriormente sotto quota 110.

106,9% il tasso di occupazione delle carceri italiane ad aprile 2020. Oltre 13 punti percentuali in meno rispetto a 2 mesi prima.

Su questa quota, compresa tra 105 e 108, si è attestata per tutti i mesi successivi, fino ad arrivare alla cifra attuale: i 107,7 detenuti ogni 100 posti rilevati alla fine dello scorso maggio.

I dati presentati si riferiscono, per ciascun mese, all’ultimo giorno dello stesso.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Maggio 2022)

Una riduzione del sovraffollamento che però non è esente da diverse criticità. In primo luogo, perché nel confronto europeo l'Italia resta - anche dopo le misure adottate - uno dei paesi dell'Unione in cui il problema rimane più cogente. Nell'ultimo rapporto annuale Space I - il documento prodotto dal consiglio d'Europa per confrontare la condizione carceraria nei diversi paesi - l'Italia compare ai primi posti in Ue per tasso di affollamento.

Il dato medio europeo non si riferisce alla media Ue, ma a quella dei paesi componenti del Consiglio d’Europa.

FONTE: elaborazione openpolis su dati consiglio d'Europa
(ultimo aggiornamento: martedì 19 Aprile 2022)

Con un tasso sicuramente più contenuto rispetto a prima dell'emergenza (105,5% a gennaio 2021, quasi 15 punti in meno della fase pre-pandemica), ma su cui non mancano segnali di crescita negli ultimi mesi.

Analizzando l'andamento in valori assoluti, infatti, si nota come dagli oltre 60mila detenuti del dicembre 2019 si sia scesi a 53mila l'anno successivo. In seguito il dato sembra essere tornato a crescere, seppur lentamente. Il 31 dicembre dell'anno scorso le persone in carcere (comprese quelle in semilibertà) erano 54.134. Sei mesi dopo sono oltre 600 in più. Erano infatti 54.771 il 31 maggio scorso, ovvero il 2,1% in più rispetto allo stesso mese del 2021 e il 2,7% in più del maggio 2020.

I detenuti presenti in semilibertà sono compresi nel totale dei detenuti presenti. Tutti i dati si riferiscono, per ciascun anno, al 31 dicembre; per l’anno in corso il dato fa riferimento ai presenti al 31 maggio 2022.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Maggio 2022)

Variazioni ancora apparentemente limitate, ma che delineano una tendenza chiara, coerente con quanto segnalato dalle organizzazioni per i diritti dei detenuti.

(...) il totale dei presenti, drasticamente sceso durante il primo anno della pandemia, è tornato a crescere

Tali variazioni dovranno continuare ad essere monitorate, in primo luogo in relazione all'evoluzione dei contagi nei prossimi mesi. In generale, a prescindere dalla pandemia, perché il sovraffollamento è un indicatore importante per la qualità della vita negli istituti penitenziari.

La detenzione è già di per sé una condizione problematica e drammatica, tanto per l'esperienza della vita in carcere, quanto per le gravi difficoltà di reinserimento nella società una volta usciti. Il sovraffollamento in questo senso forza i detenuti a condividere uno spazio più ristretto, peggiorandone ulteriormente la qualità della vita.

I casi di suicidio e morti in carcere

Pochi dati mettono il luce il disagio delle carceri come quello dei suicidi, un dramma che coinvolge sia i detenuti che gli agenti di custodia. Nei suoi rapporti annuali, il consiglio d'Europa ha più volte classificato il nostro paese tra quelli dove l'incidenza del fenomeno dei suicidi risulta più elevata rispetto alla media. È stato così negli anni precedenti il Coronavirus (2018, 2019), ma la tendenza si è purtroppo confermata nel corso dell'emergenza.

FONTE: elaborazione openpolis su dati consiglio d'Europa
(ultimo aggiornamento: martedì 19 Aprile 2022)

Nel 2020, primo anno di pandemia, il dato nazionale non solo si è confermato tra i più elevati a livello Ue. Ha anche registrato un nuovo picco nella serie storica degli ultimi anni, superando i 60 suicidi annui. Una soglia superata in precedenza nel 2018 (61 suicidi anche in quell'anno), nel 2011 (63), nel 2001 (69) e nel 1993 (61).

FONTE: elaborazione openpolis su dati Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria
(ultimo aggiornamento: giovedì 5 Maggio 2022)

I 57 suicidi in carcere avvenuti nel 2021 segnalano una situazione ancora preoccupante nelle carceri italiane, nella fase di uscita dall'emergenza Covid.

Seppur in leggero calo rispetto all’anno precedente, nel 2021 il numero di suicidi in carcere rimane molto alto.

Se si confronta il numero di suicidi con la popolazione carceraria, negli ultimi anni il rapporto ha quasi sempre superato i 10 suicidi ogni 10mila detenuti mediamente presenti. Così nel 2018 (10,4 casi ogni 10mila detenuti), nel 2020 (11) e nello scorso anno.

10,6 suicidi in carcere ogni 10mila detenuti presenti nel 2021.

Prima del 2018, bisogna risalire di oltre 10 anni nella serie storica per trovare un dato che superasse tale soglia (erano stati 10,1 nel 2007).

3 su 4 gli anni a partire dal 2018 in cui il numero di suicidi in carcere ha superato la soglia di 10 ogni 10mila detenuti.

Una tendenza all'aumento che quindi risale a ben prima dell'insorgere del Coronavirus. Come osservato da Antigone, già nel 2019 il tasso di suicidi tra le persone detenute (8,7 ogni 10mila in quell'anno) era circa 13 volte superiore a quello delle persone libere (0,67 ogni 10mila in base ai dati Oms).

Nella fase post Covid, sarà essenziale mantenere alta l'attenzione sul numero di casi di suicidio. Essi rappresentano - purtroppo - la punta dell'iceberg dei problemi esistenti nelle carceri. Problemi che rischiano di uscire rafforzati dopo l'emergenza, considerando anche il possibile impatto della pandemia sulla salute mentale, specie nei soggetti più fragili. I primi dati relativi al 2022, raccolti attraverso il monitoraggio indipendente delle fonti stampa svolto dall'associazione Ristretti orizzonti, indicano in 60 il totale dei morti in carcere quest'anno, di cui 29 suicidi al 4 giugno 2022.

L'importanza dei percorsi di reinserimento

La previsione costituzionale per cui le pene devono puntare alla rieducazione del condannato è risultata fortemente compromessa durante l'emergenza Covid.

Come rilevato da Antigone nel corso delle visite ai carceri italiani, nella maggior parte dei casi la pandemia ha posto un limite alla possibilità di formazione professionale e ai lavori di pubblica utilità.

Quasi ovunque la formazione professionale è ferma dall’inizio della pandemia. (...) Per quanto riguarda i lavori di Pubblica Utilità sembrerebbe che la pandemia abbia posto fine a gran parte delle convenzioni e attività.

I dati più recenti pubblicati dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria confermano tale tendenza. Tra il secondo semestre del 2019 e il primo del 2020 il numero di iscritti ai corsi professionali attivati in carcere è diminuito quasi del 70%, passando da oltre duemila a meno di 800 iscritti.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria
(ultimo aggiornamento: giovedì 5 Maggio 2022)

Nei mesi successivi il numero di iscritti ai corsi è tornato a crescere. Durante il secondo semestre del 2021 siamo tornati sopra la soglia di 2.000 iscritti, una cifra più simile a quanto rilevato nella fase pre-pandemica. Ma che è comunque abbastanza limitata: gli iscritti alla formazione professionale rappresentano infatti appena il 4% dei detenuti presenti.

4,21% i detenuti iscritti a corsi di formazione professionale attivati nel secondo semestre del 2021.

In parallelo, sono ancora pochi i detenuti che svolgono attività lavorative, esperienze che se ben organizzate possono costituire la premessa per un reinserimento effettivo nella società. Anche in questo caso il loro numero è in crescita rispetto alla fase pre-pandemica. In termini assoluti i "lavoranti", come vengono definiti nelle statistiche ufficiali, sono 16.930, una cifra molto elevata se considerata nella serie storica. Tuttavia in percentuale parliamo di poco più di un terzo dei presenti nelle carceri italiane (35,5%), in gran parte alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria
(ultimo aggiornamento: giovedì 5 Maggio 2022)

Su aspetti specifici come lavoro e formazione, inoltre, molto dipende dall'organizzazione delle singole carceri. In questo senso, il rapporto di Antigone - effettuato a seguito delle visite negli istituti penitenziari - offre uno spaccato piuttosto differenziato della situazione sul territorio.

Dalle nostre visite nei diversi istituti penitenziari italiani, il quadro che emerge in materia di lavoro e formazione professionale è assai variegato. Da un lato, troviamo situazioni virtuose in cui i detenuti svolgono tutti un’attività lavorativa (che sia alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria o per datori di lavoro diversi dal carcere), e all’estremo opposto istituti in cui le poche attività lavorative presenti sono quelle cosiddette domestiche alle dipendenze dell’amministrazione, come le pulizie, la cucina e la spesa. Discorso più complesso è quello che riguarda la formazione professionale che appare essere davvero carente in linea generale.

In generale, al netto dei singoli casi più o meno virtuosi, i dati nel confronto europeo fanno emergere una tendenza del nostro paese a concepire il carcere più come luogo di espiazione che di rieducazione. In Italia lo staff dell'amministrazione penitenziaria dedicato esclusivamente alla custodia è superiore all'80%, contro una media dei paesi del consiglio d'Europa pari al 54,6%. In Francia è il 63,6%, in Spagna il 65%.

82,9% lo staff impiegato nelle istituzioni penali dedicato a mansioni unicamente di custodia, in Italia.

In parallelo, è inferiore rispetto ad altri paesi la quota di personale dedicata ad attività educative e di formazione professionale. Nelle prime l'Italia si attesta al 2%, un dato superiore a quello francese (0,4%), ma inferiore rispetto a quello spagnolo (5,4%) e alla media degli stati (3,3%). Nelle seconde, il dato italiano (0,1%) è leggermente più basso di quello francese (0,4) e distante dai valori raggiunti dalla Spagna (1,1%) e dalla media stati del consiglio d'Europa (4%).

Nell'uscita dalla pandemia, è anche dall'intervento su aspetti come questi e dal potenziamento delle attività formative e lavorative che passerà la sfida di un sistema penitenziario maggiormente rivolto al reinserimento.

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