La strategia dell’Ungheria sui migranti sta diventando modello in Italia e Ue Migranti

Nei primi 6 mesi dell’anno sono arrivate circa 25mila persone via mare. Un dato inferiore al 2023, ma ai livelli degli anni del governo Draghi. Nonostante ciò, le iniziative in Italia e in Ue porteranno a più “procedure di frontiera” e al sensibile indebolimento del diritto all’asilo.

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Nei primi sei mesi dell’anno sono arrivate sulle coste italiane poco più di 25mila persone migranti. Un numero sensibilmente inferiore allo stesso periodo del 2023, ma ai livelli del recente passato.

Il minor numero di arrivi viene rivendicato come un successo dal governo Meloni, ma si tratta di cifre simili al 2021 e al 2022, quando a palazzo Chigi siedeva Mario Draghi.

Le migrazioni, infatti, sono condizionate solo in parte da politiche pubbliche nazionali. Siamo chiaramente di fronte a un fenomeno strutturale, che nel mondo è sempre esistito, che va governato in modo equo sia per il rispetto del diritto all’asilo che per una migliore convivenza con le comunità autoctone.

L’analisi degli sbarchi nei primi sei mesi dell’anno ci dice, inoltre, che circa un quinto dei migranti arrivati via mare in Italia proviene dal Bangladesh, paese che negli ultimi mesi è stato inserito nella lista di quelli cosiddetti “sicuri”.

Questa decisione, in combinazione con i dispositivi previsti dal nuovo patto europeo migrazioni e asilo, potrebbe portare alla marginalizzazione di migliaia di persone, che sarebbero costrette a fare domanda d’asilo ancora prima di fare ingresso in Ue.

Le “procedure di frontiera“, già utilizzate dal governo ungherese a partire dal 2017, potrebbero diventare in qualche modo modello nel nostro paese e in Ue, nonostante le istituzioni comunitarie in questi anni abbiano fortemente criticato e sanzionato le strategie sui migranti del governo Orban.

Gli sbarchi nella prima metà dell’anno

Nei primi mesi di quest’anno gli arrivi sulle coste italiane hanno superato le 25mila unità.

25.676 persone migranti arrivate in Italia, via mare, dal 1 gennaio al 30 giugno 2024.

La prima metà del 2023 aveva fatto registrare un picco di partenze dal nordafrica (soprattutto dai porti tunisini), con più di 65mila arrivi. Se tuttavia guardiamo agli anni precedenti, numeri simili a quelli attuali sono riscontrabili sia nel 2021 che nel 2022, periodi in cui il paese era governato dall’esecutivo guidato da Mario Draghi (entrato in carica a febbraio 2021).

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’interno

Ad ogni modo, i dati registrano arrivi sensibilmente inferiori rispetto al 2016 e al 2017, gli anni della cosiddetta “crisi europea dei rifugiati”.

Rendere la vita difficile a chi migra

Negli ultimi mesi sono state diverse le iniziative da parte delle istituzioni europee e italiane, sia rispetto agli arrivi che al sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati, di cui ci occupiamo da tempo con il progetto Centri d’Italia.

Un anno fa l’Ue ha firmato un memorandum con la Tunisia. Si tratta di un pacchetto di accordi, tra cui l’impegno del paese nordafricano a contrastare le partenze dei migranti, in cambio di finanziamenti. Un’intesa simile, nello spirito e negli obiettivi, a quelle già messe in campo (e contestate) negli anni scorsi con i governi di Libia e Turchia.

A livello nazionale, invece, ha fatto discutere l’accordo bilaterale tra Italia e Albania, che prevede la costruzione di due centri (uno di prima accoglienza e l’altro per chi deve essere rimpatriato) nel paese balcanico. Della questione ci siamo occupati ampiamente negli ultimi mesi, anche in collaborazione con Report.

Il fenomeno migratorio è solo in parte condizionato dalle politiche nazionali e continentali.

Dati alla mano, comunque, nonostante i numerosi tentativi di abbattere il fenomeno migratorio, da oltre 10 anni quest’ultimo si conferma consolidato e sembra essere condizionato solo in parte da politiche nazionali volto ad arginarlo o, peggio ancora, eliminarlo.

L’obiettivo di medio termine della governance europea (e italiana) sembra piuttosto rendere la vita più difficile ai migranti che tentano di entrare nel vecchio continente.

Basti pensare che solo nel mar Mediterraneo sarebbero oltre mille i migranti morti o dispersi nei primi mesi del 2024. Parliamo di stime al ribasso.

1.056 migranti morti o dispersi nel Mediterraneo da gennaio a maggio 2024, secondo Missing Migrants Project.

Tra i diversi dispositivi che compongono il nuovo patto europeo migranti e asilo, approvato poco prima delle elezioni europee, c’è anche l’istituzione del border procedure (procedura di frontiera) che punta a prassi più semplificate e accelerate per l’asilo, e in determinate condizioni (provenienza da un paese con tasso di riconoscimento dell’asilo inferiore al 20%, quota che in situazione di “crisi migratoria” viene alzata al 50%), può costringere i richiedenti asilo a rimanere ai confini dell’unione europea fino all’esito della procedura.

Nei fatti, con il nuovo patto europeo si va sempre di più verso le politiche di gestione del fenomeno migratorio poste in essere negli ultimi anni dal governo ungherese. A partire dal 2017, infatti, l’esecutivo guidato da Viktor Orban ha attivato le procedure di frontiera in aree di detenzione chiamate transit zone, operative fino al 2020. Delle politiche repressive alle frontiere ungheresi abbiamo parlato su “Oltre i muri, oltre i mari“, un reportage transfrontaliero del 2022.

Le politiche ungheresi sul diritto di asilo, in aperta contraddizione con le norme internazionali, sono state in questi anni criticate e sanzionate dalle istituzioni europee, le quali ora, tuttavia, potrebbero almeno in parte farle proprie, attraverso l’applicazione del patto migrazioni e asilo. È in questo senso che va letta anche la lettera di 15 governi di paesi Ue alla commissione, resa pubblica lo scorso maggio.

La strada intrapresa sembra voler puntare a rendere difficile la vita ai migranti e all’indebolimento del diritto all’asilo.

In quest’ottica si inseriscono anche gli accordi con Albania e Tunisia, soprattutto per quanto riguarda i migranti che provengono da paesi ai cui cittadini non viene facilmente concesso l’asilo.

E infatti, coerentemente con tale ragionamento, è il recente inserimento di altri 6 paesi nella lista dei paesi considerati “sicuri”, di cui parleremo più avanti.

Insomma si va verso l’esternalizzazione delle procedure di frontiera, con il sensibile indebolimento del diritto d’asilo.

I paesi di provenienza

La geografia delle migrazioni nella rotta del Mediterraneo centrale continua a mutare.

Se alla fine del 2022 la maggior parte degli arrivi era legata a persone provenienti da paesi nordafricani (Egitto e Tunisia), e a fine 2023 dall’Africa sub-sahariana (in primis Costa d’Avorio e Guinea), nei primi 6 mesi del 2024 oltre 5mila migranti (su 25mila arrivi totali) sono di nazionalità bengalese.

Seguono i siriani (3.692 persone) e i tunisini (3.219). Il primo paese sub-sahariano è la Guinea, con 2mila persone sbarcate nella prima metà dell’anno.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’interno

Lo scorso maggio, il ministero degli esteri (d’intesa con il viminale) ha emanato un decreto in cui si aggiorna la lista dei paesi considerati “sicuri”, ossia quelli dove sarebbe dimostrabile che non esistono persecuzioni politiche, etniche, religiose, oltre che trattamenti inumani, degradanti né violenza indiscriminata.

Ai 16 paesi di origine considerati sicuri dall’Italia, il governo ne aggiunge 6: Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka. Inutile sottolineare come spicchino Bangladesh ed Egitto, che insieme rappresentano il 27,1% degli arrivi nel primo semestre dell’anno.

I documenti sui nuovi paesi considerati sicuri sono stati anche oggetto di un accesso civico da parte dell’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), che ha visionato e reso pubbliche tutte le schede delle nazioni oggetto del decreto.

L’aumento dell’elenco Paesi di origine sicura fa sì che sempre più richiedenti protezione internazionale siano sottoposti a procedura accelerata con conseguenti restrizioni delle garanzie sia a livello amministrativo che di difesa giudiziaria in caso di rigetto della domanda.

Le conclusioni a cui giunge l’associazione è che il governo sembrerebbe aver classificato come “sicuri” i paesi da cui provengono più richiedenti asilo “basandosi principalmente, se non esclusivamente, sull’incremento delle domande di asilo nell’ultimo anno”.

Un dubbio più che lecito, a ben vedere i dati sugli arrivi negli ultimi mesi.

Il prevedibile aumento dei rifiuti nella concessione dell’asilo, dunque, potrebbe legarsi alle sopra citate condizioni sancite dal patto migrazioni e asilo.

Il risultato sarebbe la marginalizzazione di migliaia di persone migranti che, attraverso le procedure di frontiera, non riuscirebbero neanche a fare ingresso in Europa per chiedere l’asilo.

Foto: No Borders Network (licenza)

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