La vulnerabilità delle donne straniere Migranti
In Italia più della metà della popolazione straniera è costituita da donne. Queste ultime si trovano in una situazione di particolare vulnerabilità, soprattutto dal punto di vista lavorativo, per la loro condizione doppiamente fragile di donne e di straniere.
venerdì 9 Luglio 2021 | Migranti
Assumere una prospettiva di genere può essere utile per cogliere la specificità dell’esperienza migratoria femminile. In quanto donne e spesso madri, oltre che straniere, le immigrate sono esposte a particolari vulnerabilità e a peculiari situazioni di marginalizzazione.
La presenza straniera femminile in Italia
Degli stranieri residenti in Italia, più della metà sono donne. Parliamo di circa 2,6 milioni di straniere, ovvero il 51,8% di tutta la popolazione straniera residente.
2.607.959 le donne straniere residenti in Italia nel 2020.
In alcuni paesi si è sviluppata, negli anni, una migrazione più marcatamente femminile. È il caso delle nazioni dell’Europa orientale (Romania, Ucraina, Bielorussia), ma anche di quelle del Sud Est asiatico (Filippine, Thailandia). Altre nazionalità immigrate nel nostro paese, invece, hanno una presenza più fortemente maschile. Basti pensare all’Africa o all’Asia meridionale.
Nel 2002, gli stranieri si dividevano piuttosto egualmente tra uomini e donne. A partire dal 2006, invece, si è registrato un lieve ma costante aumento nella presenza femminile fino al 2015, quando in Italia risiedevano 293mila donne in più rispetto agli uomini.
Più della metà degli stranieri residenti in Italia sono donne
Uomini e donne stranieri residenti in Italia, tra il 2002 e il 2020.
Per stranieri si intende persone residenti in Italia ma prive di cittadinanza italiana. I dati del 2019 e del 2020 tengono conto dei risultati del censimento permanente della popolazione. Per quanto riguarda gli anni dal 2002 al 2018, questi sono invece ricostruiti sulla base dei censimenti del 2001, 2011 e 2018. Si tratta quindi di stime. I censimenti della popolazione avevano infatti cadenza decennale, fino all’istituzione nel 2018, da parte di Istat, del censimento permanente, con cadenza annuale.
FONTE: elaborazione openpolis su dati Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 22 Giugno 2021)
L'integrazione lavorativa delle straniere
La situazione occupazionale delle donne straniere è complessa. Da un lato, sono più esposte alla disoccupazione rispetto alle italiane: costituiscono infatti il 16% di tutte le disoccupate, pur rappresentando l'8,5% della popolazione femminile residente in Italia. Il dato è solo lievemente inferiore nel caso degli uomini: gli stranieri costituiscono il 14,4% dei disoccupati ma l'8,3% della popolazione maschile residente in Italia.
Il tasso di disoccupazione è più alto tra le donne (15,2% contro l'11,4% tra gli uomini), ma a fare la differenza è soprattutto il tasso di inattività. Questo è molto alto tra le donne, ma è anche molto basso tra gli uomini stranieri rispetto agli uomini italiani e quindi la differenza di genere appare particolarmente marcata.
Gli inattivi sono quindi coloro che non hanno un impiego ma che, a differenza dei disoccupati, non sono alla ricerca di lavoro. Tra gli stranieri, le inattive sono più del doppio degli inattivi.
Quasi la metà delle donne straniere residenti in Italia sono inattive
Tasso di disoccupazione e inattività di italiani e stranieri, divisi per genere, nel 2020
I dati indicano la percentuale di disoccupati e di inattivi sul totale dei residenti in età lavorativa, uomini e donne. I disoccupati sono persone non occupate ma alla ricerca di lavoro o in procinto di iniziare a lavorare, mentre gli inattivi sono i non occupati che non fanno parte della forza lavoro: non sono né occupati né in cerca di occupazione.
FONTE: elaborazione openpolis su dati Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 22 Giugno 2021)
Anche tra gli italiani, in realtà, si osserva un trend simile: le donne sono più inattive rispetto agli uomini. Nel caso degli stranieri, però, la differenza di genere risulta particolarmente forte.
Vi sono, da questo punto di vista, importanti differenze a seconda del paese di provenienza. Il tasso di inattività è particolarmente alto tra le donne che provengono da paesi meno secolarizzati e più tradizionalisti nella ripartizione dei ruoli familiari.
Istat riconosce tre gruppi di paesi di provenienza, a seconda del grado di secolarizzazione e tradizionalismo.
Secondo il rapporto di Istat "Vita e percorsi: integrazione degli immigrati in Italia" del 2020, i paesi di provenienza dei migranti possono essere raggruppati in tre categorie, a seconda del loro livello di secolarizzazione (ovvero quanto un paese è laico, quanto la religione è rilevante nella sfera pubblica) e di tradizionalismo nei ruoli familiari e di genere. Il primo gruppo include principalmente paesi dell'Europa orientale, il secondo paesi secolarizzati ma abbastanza tradizionalisti come Cina e Filippine, il terzo paesi molto religiosi come quelli del Nord Africa. Le donne provenienti dal primo e dal secondo gruppo sono più attive nel mondo del lavoro. Nel caso del Pakistan, un paese molto tradizionalista e poco secolarizzato, il tasso di inattività delle donne tocca invece il 90%.
Molte giovani straniere in Europa sono neet
Insieme, disoccupati e inattivi non inseriti in un percorso di studio o di formazione di età compresa tra i 15 e i 34 anni costituiscono il gruppo dei cosiddetti neet (not in employment, education, or training), una condizione di alienazione dal mondo del lavoro che ha effetti a lungo termine spesso molto severi.
Come riportato dal rapporto "Second European union minorities and discrimination survey" della European Union Agency for Fundamental Rights (Fra), le giovani migranti donne sono particolarmente esposte a questa condizione, per fattori legati sia alla loro cultura che a quella del paese ospite, sia in quanto donne che in quanto straniere.
Innanzitutto, a rendere difficile il loro inserimento lavorativo è il pregiudizio spesso più forte nelle culture di origine ma radicato anche nel nostro paese che vede la donna come unica responsabile del lavoro di cura dei figli. A questo si aggiungono poi, ovviamente, le difficoltà legate alla condizione di straniere, oltre alla giovane età.
70% di probabilità in più, per i giovani stranieri, rispetto ai loro coetanei europei, di diventare neet, nel 2020.
Per quanto riguarda la situazione del nostro paese, in Italia le straniere neet sono, nel 2020, circa 214mila, più del doppio dei neet di sesso maschile (104mila). Anche tra i cittadini italiani il fenomeno colpisce più duramente le donne, ma anche in questo caso la forbice è meno ampia, soprattutto per quanto riguarda l'inattività. Delle 214mila neet straniere, 181mila sono inattive (33mila sono invece disoccupate), mentre tra i giovani si arriva ad appena 60mila inattivi (e 44mila disoccupati).
Meno attive nel mondo del lavoro, ma più istruite
Nonostante il più alto tasso di inattività, le donne straniere sono spesso più istruite degli uomini. Il numero delle laureate è doppio rispetto a quello dei laureati e maggiore è anche il numero di diplomate, mentre sono in numero leggermente maggiore gli uomini con licenza di scuola media o elementare o con nessun grado di istruzione.
Tra gli stranieri, le donne hanno un grado di istruzione più alto
Gli stranieri residenti in Italia, divisi per genere, a seconda del livello di istruzione, nel 2020
Per stranieri si intende i cittadini residenti in Italia ma privi di cittadinanza italiana. I dati si riferiscono alle persone di età 15 anni e oltre e il grado di istruzione indicato è il grado più alto conseguito.
FONTE: elaborazione openpolis su dati Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 23 Giugno 2021)
Questa asimmetria di genere nel grado di istruzione esiste anche nella popolazione italiana e ugualmente a livello europeo, anche se in misura minore.
La situazione delle donne straniere in Italia sembra quindi rispecchiare tendenze generali a livello italiano ed europeo (le donne hanno mediamente un grado di istruzione più alto, ma sono meno incluse nel mondo del lavoro), tuttavia in modo più severo rispetto alle cittadine italiane. Questo conferma il ruolo dell'intersezionalità: essere donne e straniere crea una condizione di doppia fragilità.
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