Quali realtà sociali convivono nelle città del centro-nord Periferie
I grandi agglomerati urbani sono ecosistemi in cui convivono gruppi e realtà sociali differenti: aree a rischio degrado, quartieri del ceto medio e zone più benestanti. Vediamo come si distribuiscono nelle città metropolitane, partendo da quelle settentrionali.
martedì 24 Aprile 2018 | Italie a confronto
C’è un legame profondo tra le aree geografiche e le realtà sociali che in queste convivono. Soprattutto nelle città maggiori, fattori sociali, culturali e il valore immobiliare contribuiscono a creare quartieri con una precisa fisionomia sociale. Ciò può avere effetti anche molto negativi, perché quando il divario diventa troppo ampio si creano zone ghetto che non hanno contatti tra di loro. Inoltre, crescere in un contesto più difficile finisce con l’aumentare ulteriormente le disuguaglianze e il rischio di esclusione sociale. L’istituto nazionale di statistica, in occasione dell’ultimo rapporto annuale, ha proposto una tipologia dei quartieri delle grandi città italiane. Ecco come li ha identificati e in che modo si distribuiscono.
Come si suddividono le aree urbane
Istat ha individuato 5 tipi di abitati nelle grandi aree urbane, identificabili a partire da alcune caratteristiche distintive.
I quartieri più benestanti sono le aree residenziali a profilo medio-alto. Si tratta di quartieri abitati da una popolazione mediamente in età matura o anziana, ma non necessariamente pensionati. Queste zone sono infatti contraddistinte da alti tassi di occupazione e bassa disoccupazione. I residenti in età da lavoro sono spesso liberi professionisti, imprenditori oppure occupati in settori ad alta specializzazione. Questi quartieri si caratterizzano anche per l’elevata presenza di laureati, di famiglie che vivono in abitazioni di proprietà e di nuclei familiari di dimensioni ridotte. Vi risiede il 16,5% degli abitanti nelle 14 città metropolitane italiane, circa 2,9 milioni di persone.
Le aree del ceto medio sono quelle abitate generalmente di famiglie di lavoratori dipendenti (in particolare operai e impiegati) e della piccola borghesia (commercianti e altri lavoratori autonomi). Queste zone si caratterizzano per valori intermedi sotto molti indicatori: titolo di studio (prevalgono i diplomi delle scuole medie, inferiori e superiori), tasso di occupazione (poco al di sopra della media), dimensione familiare (2-3 componenti). . Tratto distintivo è l’alta frequenza della casa di proprietà, superiore a tutte le altre aree considerate. Quasi il 41% degli abitanti delle città metropolitane italiane vive in quartieri con questo profilo. In termini assoluti parliamo di 7,1 milioni di persone.
Nelle aree con popolazione anziana abitano soprattutto famiglie di pensionati, generalmente in affitto, in molti casi composte da una sola persona. Il grado di istruzione è medio e il tasso di disoccupazione molto basso. Questo si spiega con la presenza, in queste stesse zone, di persone più giovani e di stranieri. I residenti più giovani condividono il profilo socio-demografico delle famiglie anziane con cui convivono: titolo di studio medio e occupazione in professioni a bassa qualifica. In queste aree abitano circa 3 milioni di persone, il 17,3% della popolazione delle città metropolitane.
Le aree popolari con famiglie giovani in affitto sono quartieri che si identificano per la maggiore presenza di famiglie numerose (4 o più componenti), prevalentemente italiane, e per un’età media molto bassa. Sono zone caratterizzate da un basso livello di istruzione e da un alto tasso di disoccupazione, il più elevato registrato nelle cinque tipologie individuate. Gli abitanti occupati svolgono lavori a bassa qualifica. In queste zone abitano quasi 3,4 milioni di persone, il 19,3% del totale;
Il profilo dei residenti delle aree popolari a rischio di degrado sotto molti aspetti coincide con quello della categoria precedente. Anche qui risiedono (generalmente in affitto) famiglie numerose, con elevati livelli di disoccupazione e bassi titoli di studio. Vivono in queste aree soprattutto lavoratori manuali, operai e addetti alla produzione. Ma a differenza dei quartieri popolari con famiglie giovani si tratta di zone con una densità abitativa elevatissima, un’età media degli abitanti più avanzata e una maggiore presenza di stranieri (che qui sono in linea con la media, mentre nella categoria precedente erano quasi assenti). In queste zone risiedono poco più di un milione di persone, il 5,9% del totale.
Queste categorie identificano il profilo di una zona, non necessariamente quello di tutti coloro che ci abitano.
L’analisi di Istat, strutturata sui dati ricavati dal censimento 2011, consente di associare ad ogni abitato una propria categoria. Aggregandoli possiamo capire qualcosa di più sulla struttura sociale di ciascuna città metropolitana. Con una cautela: le categorie identificano il profilo sociale di un quartiere, ma non significa necessariamente che tutti i suoi abitanti siano accomunati da quelle stesse caratteristiche. Come abbiamo già ricordato, non tutti quelli che abitano nelle aree con popolazione anziana sono anziani, né tutti quelli che abitano nelle aree popolari a rischio degrado si trovino in una condizione di disagio. Su queste premesse, partiamo con l’analisi dei grandi agglomerati urbani del centro-nord.
La struttura sociale delle città del centro-nord
Le città settentrionali hanno una specificità che le caratterizza: circa metà della popolazione vive nelle aree del ceto medio. Una percentuale ovviamente variabile, si va dal 69% di Venezia al 37% di Genova, mentre nelle altre città è in linea con la media: 44% a Roma, 58% a Milano, 48% a Torino, 51% per cento a Firenze, 47% a Bologna.
Al centro-nord prevalgono le aree del ceto medio
Percentuale di residenti della città metropolitana per tipo di area residenziale
FONTE: Istat, rapporto annuale 2017
(ultimo aggiornamento: mercoledì 17 Maggio 2017)
In queste stesse città una quota che oscilla tra il 10 e il 30% dei residenti abita in zone più benestanti (quelle che Istat definisce aree residenziali a profilo medio-alto). Il radicamento del ceto medio nel centro-nord si può spiegare come un effetto di lungo periodo del boom economico e dell'urbanizzazione del dopoguerra. Come evidenzia l'Istat:
Questo quadro è coerente con quanto avvenuto, proprio in questi territori, durante il periodo del boom economico. Le maggiori possibilità occupazionali e la grande espansione edilizia hanno favorito la crescita e il consolidamento di queste grandi conurbazioni, meta di migrazioni interne molto consistenti e provenienti essenzialmente dall’Italia meridionale e insulare; con il tempo e i passaggi generazionali, la classe sociale degli immigrati (prevalentemente di operai di fabbrica) è divenuta ceto medio.
Ben rappresentate anche le aree con popolazione anziana, mentre le altre tipologie di quartiere sono molto meno frequenti. Mentre risultano più abitate le aree popolari dove l’immigrazione è stata più intensa, o di più lunga data, come nel caso di Roma e di Milano.
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