Le capacità dei giovani da non disperdere #conibambini

Dopo la pandemia si registra un calo dei neet, giovani che non studiano, non lavorano e non sono in formazione. Tuttavia, il nostro paese resta ancora ai primi posti nel contesto europeo per incidenza del fenomeno e i divari territoriali sono ampi.

|

Partner

Il 15 luglio di ogni anno le Nazioni unite celebrano la giornata mondiale delle competenze dei giovani. Un’occasione in cui è interessante verificare gli sforzi compiuti da ciascun paese per investire sulle capacità e sulle competenze delle nuove generazioni.

Anche alla luce di una condizione giovanile che molti indicatori – dopo il Covid e non solo – descrivono come critica, sotto diversi fronti. Tanto dal punto di vista socio-economico, con il peggioramento nell’incidenza della povertà minorile, quanto in termini educativi, con l’aumento di fenomeni come la dispersione implicita, soprattutto tra gli studenti svantaggiati.

14% l’incidenza di povertà assoluta tra i minori nel 2023. In base alle stime preliminari di Istat, il valore più alto della serie storica dal 2014.

In questo quadro vi sono alcuni segnali positivi, anche rispetto allo sviluppo delle competenze e capacità dei più giovani. Primo tra tutti la diminuzione dei neet, giovani che non studiano, non lavorano e non sono in formazione, passati dal 23,5% nel 2020 al 16,1% nel 2023, nel contesto della ripresa economica post-pandemica.

Neet in calo, ma il fenomeno resta un problema per il paese.

Un calo importante, che però non significa che il problema sia risolto o vada trascurato, per diverse ragioni. In primo luogo perché, come approfondiremo, l’Italia resta ai vertici in Europa per incidenza del fenomeno. Secondo, perché – come osservato anche dagli studiosi del tema – è verosimile che da questo trend restino comunque esclusi i giovani meno formati, aspetto che investe la capacità del sistema educativo di valorizzare attitudini e competenze. Il terzo motivo, connesso con i precedenti, è che permangono ampi divari territoriali nella quota di giovani che non studiano, non lavorano e non sono in formazione.

Giovani neet, l’Italia nel confronto europeo

Storicamente, in Italia l’incidenza dei giovani che non studiano e non lavorano è stata più elevata rispetto agli altri paesi Ue. A maggior ragione in uscita dalla crisi economica degli anni 2008-2012.

Nel 2014 l’incidenza dei neet nel nostro paese si attestava al 26,3% tra i giovani tra 15 e 29 anni. Ancora prima della pandemia, nonostante un calo sensibile, continuava a superare il 20% (22,3% nel 2019, a fronte di una media Ue del 12,8%). Dopo il picco raggiunto nel 2020-21 (quando ha superato il 23%) è scesa al 19% nel 2022 e al 16,1% attuale.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: giovedì 14 Marzo 2024)

Un miglioramento netto, anche per la distanza dimezzata con la media Ue (11,2% nel 2023) rispetto al pre-pandemia.

4,9 punti di distanza tra quota di neet in Italia e in Ue nel 2023. Erano 10 nel 2021.

Eppure quella italiana resta la seconda incidenza più elevata dopo quella della Romania. A ciò va aggiunta la questione di chi resta fuori da questi miglioramenti.

Resta poi sullo sfondo anche un’altra grande domanda: e chi non ce la fa? Perché se è positivo il recupero degli ultimi anni è anche probabile che a beneficiarne sia stato chi ha un profilo professionale e un pregresso formativo più appetibile; chi non soffre dei crescenti disagi psichici che colpiscono i più giovani; chi si trova in un territorio che offre delle opportunità occupazionali importanti.

Il ruolo delle competenze e dell’istruzione

Sono ancora i dati raccolti da Eurostat a mostrare l’influenza delle opportunità educative sulla condizione dei più giovani.

In Italia, nel 2022, si trovava nella condizione di neet il 19% dei giovani tra 15 e 29 anni. Una quota che scende al 14% tra chi ha un livello di istruzione terziaria (cioè il segmento di chi, in questa fascia d’età molto ampia, ha la laurea) e più elevata tra chi ha al massimo un livello di istruzione secondaria inferiore (19,4%) e superiore (20,3%).

Tra i diplomati nei percorsi generali (come i licei), la quota scende al 14,5%, verosimilmente anche per l’incidenza di coloro che frequentano l’università. Mentre è rilevante osservare come l’incidenza dei neet salga al 24,3% tra chi ha un titolo di studio professionale.

Un dato che segnala una difficoltà del sistema educativo di sviluppare capacità e competenze dei più giovani e che ha un impatto diretto sui percorsi di vita e sull’autonomia di ragazze e ragazzi. Basti pensare che nel 2022 l’età media in cui si stima che i giovani italiani lasciano la casa dei genitori è 30 anni, il settimo dato più elevato in Ue. Una quota molto superiore alla media Ue (26,4 anni) e agli altri due maggiori paesi dell’Unione (Germania, 23,8 e Francia, 23,4).

Indicatori che segnalano una vera e propria compressione delle possibilità dei giovani e anche una dispersione delle loro energie, che pone un’ipoteca seria sullo sviluppo del paese. In particolare nelle aree più fragili, con minori opportunità educative e professionali. Ciò rende necessario capire dove incida maggiormente il fenomeno, anche in collegamento con il livello di competenze.

I giovani neet in Italia, comune per comune

Nei test Invalsi dell’anno scolastico 2022/23 è emerso come i territori con i punteggi medi più bassi nelle prove di italiano in terza media fossero le province di Crotone, Caltanissetta, Agrigento, Ragusa, Vibo Valentia, Palermo, Enna, Trapani, Siracusa, Prato, Reggio Calabria, Napoli, Catania, Sassari e Cosenza.

Territori collocati quindi in 14 casi su 15 nell’Italia meridionale, l’area del paese dove anche il fenomeno dei neet è più grave. Attraverso le stime di Istat nell’ambito delle statistiche sperimentali, è possibile verificarne l’incidenza anche nei singoli comuni.

In rosso sono indicate le 15 province con i punteggi medi nei test Invalsi di italiano più bassi in terza media (a.s. 2022/23).

I dati, diffusi solo per i comuni con più di 5.000 abitanti, mostrano la percentuale di iscritti in anagrafe di 15-29 anni che non hanno un’occupazione regolare ad ottobre e non seguono un percorso di studio. Si tratta di una proxy dell’indicatore sui neet (giovani che non studiano, non lavorano e non sono in formazione).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (censimento permanente) e Invalsi
(pubblicati: venerdì 8 Marzo 2024)

I 15 capoluoghi dove il fenomeno incide di più sono Catania, Palermo, Napoli, Messina, Caltanissetta, Agrigento, Trapani, Siracusa, Frosinone, Enna, Crotone, Reggio Calabria, Taranto, Como e Cosenza. Undici di queste si trovano nelle province con le competenze più basse in italiano, in terza media.

Un problema quindi da mettere a fuoco nelle sue possibili relazioni, non solo nelle città maggiori. Anche nei tanti piccoli centri, del mezzogiorno e non solo, colpiti da un fenomeno che limita le potenzialità di crescita dei giovani e dei territori stessi.

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi all’incidenza dei giovani (15-29 anni) iscritti in anagrafe che non hanno un’occupazione regolare ad ottobre e non seguono un percorso di studio sono di fonte Istat, e sono stati rilasciati nell’ambito delle statistiche sperimentali. Sono diffusi dall’istituto solo per i comuni con più di 5.000 abitanti.

Foto: Allison Shelley/The Verbatim Agency per EDUimagesLicenza

PROSSIMO POST