L’illusione del “blocco delle partenze” maschera il vuoto dell’accoglienza Centri d'Italia
Sul fenomeno migratorio il dibattito è spesso superficiale e strumentale. Con “Il vuoto dell’accoglienza” proviamo a dimostrare, ancora una volta, quanta strada deve ancora fare l’Italia per costruire un sistema di reale accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati.
venerdì 3 Marzo 2023 | Migranti
All’inizio dell’anno il cosiddetto “decreto anti-Ong” ha polarizzato ancora una volta l’attenzione dell’opinione pubblica sul fenomeno migratorio, in particolare sulla rotta del Mediterraneo centrale.
La strage nel mare avvenuta domenica scorsa a pochi metri dalle coste calabresi ha inoltre contribuito a centrare il dibattito sulle partenze e sugli arrivi. In questo senso si sono inserite anche le parole del ministro dell’interno Matteo Piantedosi. Affermazioni che hanno scatenato un vespaio di polemiche.
La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli.
Nelle prime settimane di quest’anno sono sbarcate sulle coste italiane meno di 7mila persone.
6.834 persone sbarcate sulle coste italiane dal 1 gennaio al 15 febbraio 2023.
Un dato in aumento rispetto allo stesso periodo del 2022 (quando furono poco più di 4mila gli arrivi) ma comunque lontano dai primi due mesi del 2017, quando entrarono in Italia via mare oltre 13mila persone.
Siamo di fronte a cifre che descrivono flussi di persone in cerca di una vita migliore in Europa. Numeri certamente non sufficienti per raccontare a pieno storie spesso difficili ma di chi comunque ce l’ha fatta, rispetto alle migliaia di naufraghi che solo lo scorso anno hanno trovato la morte lungo le rotte migratorie.
Le tremila persone
morte o disperse lungo le rotte migratorie.
Un elemento che raramente viene considerato nel confuso e spesso poco informato dibattito pubblico sulle migrazioni riguarda un dato di fatto che dovrebbe rappresentare sempre una premessa imprescindibile: il numero di arrivi in Italia e in Europa è legato soprattutto a fattori esogeni come guerre, persecuzioni, violenze, cambiamenti climatici e catastrofi naturali. Su questo le politiche dei singoli paesi europei, soprattutto se di breve respiro, possono incidere solo marginalmente.
Più che sul “blocco delle partenze” la politica dovrebbe incidere sulla qualità dell’accoglienza.
Ciò su cui si può davvero incidere attraverso politiche pubbliche nazionali è il modo con cui le persone arrivate si integrano e vengono incluse nella realtà sociale, civile, educativa e lavorativa del nostro paese.
Di questo parliamo ormai da anni attraverso il progetto Centri d’Italia, realizzato in partnership con ActionAid Italia. E questi aspetti abbiamo analizzato anche con il dossier lanciato lo scorso 16 febbraio, intitolato non a caso “Il vuoto dell’accoglienza“.
Che i dati raccontino gli arrivi dei primi mesi dell’anno, o il sistema dell’accoglienza in Italia nel 2021 – anno oggetto dell’analisi de “Il vuoto dell’accoglienza” – i fatti confermano quanto affermiamo da anni: il fenomeno migratorio va considerato ordinario e strutturale, e in quanto tale deve essere governato. Vale a dire che il sistema per l’accoglienza dei migranti che arrivano nel nostro paese, in cerca di asilo o rifugio, deve essere anch’esso ordinario.
Anche in questa sesta edizione del rapporto annuale sul sistema, invece, è tristemente evidente come l’unico approccio possibile concepito dai decisori pubblici sia quello votato all’emergenza.
Nel 2021, infatti, quasi due terzi dei posti nelle strutture di accoglienza del paese erano in centri di accoglienza straordinaria (Cas).
59.466 i posti nei Cas al 31 dicembre 2021, pari al 60,88% dei 97.670 posti complessivamente disponibili.
Il sistema straordinario è da anni anteposto a quello ordinario, il sistema di accoglienza integrazione (Sai). Quest’ultimo, infatti, tra il 2018 e il 2021 ha perso addirittura oltre mille posti, nonostante un forte calo degli arrivi e una conseguente perdita di più di 70mila posti nei centri del paese.
Il sistema ordinario dovrebbe rappresentare la prassi. Solo una volta saturo ci si dovrebbe rivolgere ai centri straordinari.
Si sarebbe insomma potuto approfittare della drastica diminuzione dei numeri nell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati per rafforzare definitivamente il Sai, garantendo così maggiore inclusione sociale per gli ospiti nei centri, più integrazione con le comunità ospitanti e un’accoglienza più capillare sul territorio.
Invece non solo questa strada non è stata affatto battuta, ma i Cas nel tempo sono diventati mediamente sempre più grandi. Non è un caso, infatti, che i centri di piccole dimensioni tra 2018 e 2021 abbiano rappresentato la categoria di centro ad aver perso più posti: ben 23.917.
Questo ha avuto ricadute anche sulla distribuzione dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati sul territorio. Meno di un comune su 4 (precisamente il 23,2%) nel 2021 era interessato dall’insediamento di un centro, sia esso di competenza prefettizia (Cas o centri di prima accoglienza) o afferente al sistema di titolarità pubblica (Sai).
Le chiusura di migliaia di centri ha portato a una maggiore concentrazione di migranti soprattutto in alcune grandi città metropolitane.
Le province con più posti disponibili nei centri di accoglienza
Le 10 province (o città metropolitane) con più posti a disposizione nei centri, nel 2021
FONTE: elaborazione ActionAid e openpolis su dati centriditalia.it
I territori con più posti a disposizione nel 2021 sono le città metropolitane di Roma (3.796), Torino (3.637), Milano (3.524), Bologna (2.579) e Napoli (2.578).
Complessivamente, in queste cinque città metropolitane nel 2021 c’erano oltre 16mila posti nelle strutture, pari al 16,5% del totale dei posti nel paese.
L’impatto dei posti sulla popolazione in questi territori è molto relativo, come d’altronde in tutto il paese. Basti pensare che al 31 dicembre 2021 le circa 77mila persone ospitate nei centri d’Italia rappresentavano lo 0,13% della popolazione italiana. Una percentuale che saliva solo fino allo 0,22% se consideriamo solo i cittadini residenti nei comuni in cui sorgevano centri (circa 35,9 milioni di persone).
Per fare un esempio, nella città metropolitana di Roma l’incidenza dei posti sulla popolazione residente era lo 0,12%.
Numeri che, oltre a smentire qualsiasi strumentale “teorema dell’invasione”, dovrebbero spingere i decisori pubblici a organizzare il sistema dell’accoglienza in modo meno iniquo e più efficiente e virtuoso, a vantaggio dei diritti dei migranti e della loro inclusione nelle comunità locali.
Di questo (e altro) parleremo nelle prossime settimane, continuando a raccontare gli aspetti salienti dell’indagine “Il vuoto dell’accoglienza”.
Foto: Abir Arabshahi (licenza)