L’impatto delle violenze di genere e familiari sui minori #conibambini

Le violenze domestiche contro le donne sono cresciute durante la pandemia. Quando presenti, ne sono vittima anche i minori, costretti ad assistere e spesso a subirle direttamente. Un quadro drammatico, in cui è importante il ruolo di tutele legali e centri antiviolenza.

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Nel periodo pandemico, e in particolare durante le chiusure, si è registrato un picco delle violenze contro le donne in ambito familiare. Una crescita testimoniata dalle chiamate al 1522, dai contatti ai centri antiviolenza e dai dati dei pronto soccorso.

Quando presenti, ne sono vittima anche i bambini, costretti ad assistere alle violenze, se non a subirle direttamente. Per uscire da situazioni così drammatiche è cruciale il ruolo dei centri antiviolenza e delle tutele garantite a chi subisce gli abusi. Ma soprattutto deve aumentare la consapevolezza sulla violenza di genere, con un cambio di paradigma sociale e culturale profondo, che coinvolga tutti quanti. In modo che vi siano le tutele adeguate e che nessuna donna debba essere messa nella condizione di dover decidere se denunciare. Come invece ancora oggi spesso accade, specie nelle situazioni in cui sono presenti dei figli in famiglia.

Acquisire tale consapevolezza passa anche da capire quanto, come e dove incida il fenomeno, in modo da innalzare l’attenzione e dotarsi degli strumenti per intervenire con efficacia. A maggior ragione dopo il Covid, il cui impatto purtroppo si misura anche sulle violenze domestiche e di genere.

È urgente capire come rafforzare le misure esistenti e implementare nuove misure per proteggere e sostenere le donne vittime di violenza da partner e i loro figli durante e all’indomani del Covid-19, così come in altri potenziali situazioni di crisi

L’aumento delle segnalazioni di violenze durante la pandemia

Ogni giorno decine di telefonate raggiungono il 1522, il numero verde per segnalare violenze di genere e stalking. Un servizio gratuito, attivo 24 ore su 24 e che garantisce l’anonimato. Attivato nel 2006, contribuisce all’attuazione da parte del nostro paese della convenzione del consiglio d’Europa per la lotta contro la violenza sulle donne. Un documento firmato a Istanbul nel 2011, sottoscritto e poi ratificato dall’Italia tra il 2012 e il 2013.

Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per istituire a livello nazionale apposite linee telefoniche gratuite di assistenza continua, operanti 24 ore su 24, sette giorni alla settimana, destinate a fornire alle persone che telefonano, in modo riservato o nel rispetto del loro anonimato, delle consulenze su tutte le forme di violenza oggetto della presente Convenzione.

A partire dal 2020, si è registrato un aumento delle chiamate al numero verde, sia da parte delle vittime che di altri utenti. In particolare durante il primo lockdown, tra marzo e maggio di quell’anno, ma la tendenza è proseguita anche nei mesi successivi.

16.272 le chiamate da vittime al 1522 nel 2021. Il 3,6% in più del 2020 e l’88,2% in più del 2019.

Su questa crescita hanno influito numerosi fattori, non ultimo la maggiore consapevolezza sul fenomeno e sul servizio stesso, promosso con apposite campagne informative.

Purtroppo sembra essere riconducibile anche alla contingenza della fase pandemica. In un report dedicato, l‘istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) ha sottolineato come durante il lockdown sia incrementato il rischio di violenze intime, ossia quelle da parte dei partner. Una dinamica, riconducibile alla convivenza forzata con il partner violento, che appare confermata dai dati nazionali. E che è verosimilmente sottostimata rispetto al fenomeno reale, dal momento che comprende solo le vittime che si sono rivolte al servizio.

I dati raffigurano l’andamento temporale delle chiamate ricevute al numero antiviolenza (1522) nei mesi da marzo a giugno. Sono messi a confronto la serie temporale giornaliera del 2020 con la media degli anni precedenti dal 2013 al 2019.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 30 Giugno 2020)

Nel 2020, primo anno di pandemia, si è assistito a una crescita del 60% nel numero di chiamate da vittime al 1522, rispetto a quelle rilevate in media nel periodo 2013-19. Tale incremento è stato registrato in prevalenza nei territori del centro-nord, ma non solo. Aumenti particolarmente netti si sono verificati nelle province di Catanzaro (+96%), Vicenza (+93%), Trieste (+89%), Bolzano (+88%), Prato (+85%), Teramo (+85%), Bologna (+82%), Rimini (+80%), Como (+78%) e Grosseto (+77%).

Il dato presentato non comprende le chiamate per cui non è stato possibile censire la provincia di provenienza, pari al 6,63% del totale tra 2013 e 2019 e al 18,23% tra 2020 e 2021.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: giovedì 4 Agosto 2022)

Nel 2021 si è registrato un ulteriore aumento del 3,6% a livello nazionale. Un incremento che addirittura supera il 70% rispetto al 2020 in province come Sondrio, Cremona, Verbano-Cusio-Ossola, Trapani, Caltanissetta e Isernia.

+63,1% il numero medio annuo di chiamate delle vittime al 1522 dal periodo 2013-19 a quello 2020-21.

Coerentemente con la crescita registrata a livello nazionale, nella stragrande maggioranza dei territori il numero di chiamate di vittime al 1522 è fortemente aumentato. In 4 aree è più che raddoppiato tra prima e dopo la pandemia. Nelle province di Sondrio, Grosseto, Bolzano e Trento si sono infatti registrati aumenti superiori al 100% tra quanto rilevato nel periodo 2013-19 e in quello 2020-21. Seguono, con aumenti superiori al 70%, Vicenza, Nuoro, Teramo, Potenza, Ferrara, Verona, Bologna, Como e Ravenna.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: giovedì 4 Agosto 2022)

Dopo la pandemia, il fenomeno sembra essere cresciuto in modo generalizzato su tutto il territorio nazionale; una tendenza che anche altre fonti sembrano testimoniare.

Una recrudescenza segnalata anche da altre fonti

I dati appena visti mostrano una crescita netta delle chiamate da vittime al 1522. Come già sottolineato, tale incremento può essere attribuito, almeno in parte, a una maggiore consapevolezza sulla gravità del fenomeno rispetto ad alcuni anni fa. E anche a una conoscenza più diffusa del servizio stesso, promosso con campagne specifiche.

Tuttavia, è indicativo osservare come anche altre fonti a disposizione confermino le stesse tendenze emerse dalle chiamate al numero verde. In primo luogo, i dati sugli accessi ai pronto soccorso presentati dal ministero della salute durante un convegno organizzato da Istat nel marzo di quest'anno.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati ministero della salute
(ultimo aggiornamento: mercoledì 23 Marzo 2022)

Negli ultimi anni la crescita è stata costante, e ciò può dipendere anche da una maggiore capacità e formazione degli operatori sanitari dei pronto soccorso nel “riconoscere” i casi di violenza.

Tuttavia l'aumento registrato nel primo anno di pandemia (+1,5 punti in un solo anno) appare particolarmente significativo. Nel 2020 l'emergenza sanitaria ha portato a un drastico abbattimento degli accessi al pronto soccorso, di conseguenza anche quelli per violenza sono diminuiti (-28% rispetto al 2019). Allo stesso tempo il tasso di accessi per violenza ogni 100mila accessi è fortemente aumentato: +19% tra 2019 e 2020.

Un'ulteriore conferma in questo senso arriva dal numero di donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza. A causa delle restrizioni del Covid, gli accessi alle case rifugio sono diminuiti. Ma il numero di donne che hanno contattato un Cav è cresciuto quasi dell'8% tra prima e dopo la pandemia.

Nel 2020, 54.609 donne hanno contattato almeno una volta i centri antiviolenza, in aumento di 3.964 unità rispetto al 2019.

+7,8% la crescita delle donne che si sono rivolte ai Cav nel 2020 rispetto al 2019.

Fonti diverse che vanno nella stessa direzione di quanto visto con le telefonate al 1522. Per quanto parziale, l'analisi delle chiamate al numero verde da parte delle vittime offre un quadro abbastanza attendibile del fenomeno, come segnalato anche dall'istituto nazionale di statistica.

L’analisi del fenomeno della violenza e dello stalking che emerge dalla lettura dei dati del 1522 restituisce uno spaccato utile a comprenderne le dinamiche e le caratteristiche, che si avvicina sorprendentemente al profilo già rilevato dalle indagini campionarie condotte dall’Istat sulla stessa tematica.

Diventa quindi utile approfondire, attraverso le informazioni raccolte dal 1522, il profilo delle vittime e i motivi che più spesso portano a non denunciare, specie se in presenza di minori. Bambini e ragazzi che sono a loro volta vittime della violenza di genere, assistendovi e subendola.

Le vittime, tra violenze e mancate denunce

Premessa d'obbligo è che si tratta di dati la cui analisi è molto complessa, anche per la difficoltà per le vittime di fornire informazioni al telefono sulla propria situazione. A causa della convivenza forzata con il familiare violento, ciò è stato esasperato durante pandemia.

Va notato che nel 2020 la quota delle non risposte ai dati anagrafici delle vittime è decisamente aumentata, a causa di un aumento delle telefonate che si interrompevano anticipatamente durante il lockdown, cosa che può essere intesa come un indicatore di difficoltà nella permanenza al telefono da parte delle vittime.

Con questo caveat, è possibile ricostruire che il 97% delle vittime sono donne, aggregando i dati del 2021 e del 2022 (fino al primo trimestre). L'età più frequente è tra 35 e 44 anni (16% delle vittime) e nella fascia centrale - 25-54 anni - si concentrano quasi la metà dei casi, pari al 44% del totale. Tuttavia il dato sull'età non è disponibile per oltre una vittima su 4 (27,5%).

La principale violenza subita è generalmente di tipo fisico (nei primi tre mesi di quest'anno 1.308 casi su 2.966). Seguono quelle di natura psicologica (1.010 casi nello stesso periodo), sessuale (181 casi) e minacce (172).

Violenze che nella grande maggioranza dei casi avvengono nella propria abitazione: oltre il 70% sia nel 2021 che nei primi 3 mesi del 2022. E consistono in ripetuti episodi nel corso di anni (1.675 casi nel primo trimestre 2022) o mesi (672). Solo in 129 casi su 2.966 la chiamata è seguita a un unico episodio.

Del resto, sono anche molti i casi in cui una violenza subita non si traduce in una denuncia formale alle forze dell'ordine. Nei primi mesi del 2022, meno del 13% ha denunciato, quasi 3 vittime su 4 non hanno denunciato e un ulteriore 3% ha successivamente ritirato la denuncia. Per circa il 10% delle vittime non si conosce tale informazione.

Tra i motivi addotti più di frequente per la mancata denuncia, vengono segnalati il "non voler compromettere la famiglia" e la paura del violento. Dati che vanno letti in relazione con la presenza di figli nel nucleo, vittime a loro volta della violenza di genere e familiare.

La violenza assistita dai minori

Oltre il 50% delle vittime di violenza hanno figli: il 51% nel 2021 e il 54% nei primi 3 mesi del 2022. A loro volta, circa la metà delle vittime con figli è genitore di un minore di 18 anni.

Situazioni che espongono anche bambine e bambini, ragazze e ragazzi alle violenze che avvengono nel nucleo familiare. Anche in questo caso, pesa l'alta quota di non risposte: in oltre un caso su 5 (22,6%) questa informazione non è disponibile.

Tuttavia i dati mostrano chiaramente che i ragazzi nella stragrande maggioranza dei casi assistono alle violenze e in diversi casi ne sono vittima in prima persona.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(pubblicati: mercoledì 24 Agosto 2022)

La casistica più frequente è infatti quella dove la vittima con figli indica che questi non hanno subito direttamente la violenza, ma hanno assistito a quella perpetrata. Seguono le situazioni in cui viene dichiarato che i figli non assistono e non subiscono, quelle non note e quelle in cui i figli sono sia vittime che testimoni della violenza al proprio genitore.

La conseguenza più spesso segnalata per i figli che assistono è l'inquietudine (421 casi su 1.602 nel primo trimestre 2022). Seguita dall'aggressività (85 casi), da comportamenti adultizzati di accudimento verso i familiari (76) e dai disturbi del sonno. Anche in questo caso tuttavia, nella maggioranza dei casi non disponiamo di informazioni: la reazione dei figli delle vittime ad esempio nei primi mesi del 2022 non è indicata per 781 casi su 1.602).

Inoltre, come abbiamo visto in precedenza, solo in una minoranza dei casi queste situazioni portano a una denuncia. Si tratta di un aspetto cruciale, perché solo la possibilità di conoscere la situazione consente di intervenire in modo tempestivo e efficace, trasferendo la chiamata al servizio più utile, caso per caso. Dai centri antiviolenza alle forze dell'ordine, dai pronto soccorso al numero di emergenza per l'infanzia.

+15% vittime minori di 18 anni del reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina tra 2020 e 2021, in base ai nuovi dati del ministero dell’interno.

Centri antiviolenza e case rifugio sono il primo sbocco delle chiamate da parte delle donne che subiscono violenza. Approfondiamo come sono diffusi sul territorio nazionale.

La rete di centri antiviolenza e case rifugio

Il sistema di protezione per le donne vittime di violenza si regge sui centri antiviolenza (Cav) e sulle case rifugio per le donne maltrattate (Cr).

Strutture che devono avere dei requisiti minimi per operare, stabiliti con l'intesa stato-regioni nella conferenza unificata del 27 novembre 2014. Sulla base di questo accordo, sono le regioni ad accreditare i centri che ne fanno richiesta.

Per quanto riguarda i primi, sono strutture in cui vengono accolte, a titolo gratuito e indipendentemente dal luogo di residenza, le donne di qualsiasi età e i loro figli minorenni. Intervengono in tutti i casi in cui la donna abbia subito o sia esposta alla minaccia di violenza di qualsiasi tipo.

15.387 le donne che nel 2020 hanno concordato con il centro antiviolenza un percorso personalizzato di uscita dalla violenza.

Le case rifugio sono luoghi che garantiscono un alloggio sicuro e gratuito alle donne che hanno subito violenza e ai loro bambini. Una mappatura non è possibile data la necessità di garantire a queste strutture la massima sicurezza e protezione.

Le Case Rifugio sono strutture dedicate, a indirizzo segreto, che forniscono alloggio sicuro alle donne che subiscono violenza e ai loro bambini a titolo gratuito e indipendentemente dal luogo di residenza, con l'obiettivo di proteggere le donne e i loro figli e di salvaguardarne l'incolumità fisica e psichica.

La regione con più case rifugio è la Lombardia, sia rispetto alle donne residenti (0,29 case ogni 10mila donne) che rispetto a quelle vittima di violenza (3,97). Segue il Friuli-Venezia Giulia (0,24 ogni 10mila residenti e 3,74 ogni 10mila vittime).

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: venerdì 13 Maggio 2022)

Per quanto riguarda i centri antiviolenza la prima regione è il Molise (0,26 ogni 10mila donne, 3,28 rispetto alle vittime). Segue l'Umbria, considerando entrambi gli indicatori.

Il sostegno alle vittime e l'investimento educativo necessario

Intervenire nel contrasto delle violenze di genere e domestiche richiede quindi un complesso coordinato di interventi. Dalla possibilità di segnalazione e consulenza, attraverso il numero verde dedicato, alle strutture rivolte all'accoglienza delle donne che escono da una situazione di violenza, spesso con i propri figli.

Fino a tutele ulteriori in situazioni ancora più drammatiche, purtroppo non infrequenti.

116 donne vittime di omicidio volontario nel 2020. Nel 2019 erano state 111 (Istat).

Situazioni che richiedono un intervento ancora più particolare, come previsto dalla legge 4 del 2018 che tutela gli orfani a causa di crimini domestici. Giovani ai quali vengono riconosciute tutele processuali ed economiche, come il diritto al patrocinio gratuito a spese dello stato, la possibilità di modificare il proprio cognome o quella di accedere alla pensione di reversibilità.

Oltre a borse di studio, finanziamenti per il reinserimento lavorativo e per l'assistenza psicologica e sanitaria.

La prevenzione passa anche da un investimento educativo sulla parità e il rispetto di genere.

Accanto a questo tipo di interventi, è evidente l'urgenza di intervenire anche sulla prevenzione. Parliamo di un vero e proprio investimento educativo che miri a trasmettere a bambini e ragazzi tutti gli strumenti per essere parte attiva del contrasto alla violenza di genere.

Dagli aspetti culturali già evidenziati, come la parità di genere e il rifiuto della violenza, alle modalità concrete per contrastare i casi di violenza, quando avvengono. Per esempio l'importanza della denuncia e il ricorso all'aiuto offerto da associazioni e centri antiviolenza.

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti dell'Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l'impresa sociale Con i Bambini nell'ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell'articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l'obiettivo di creare un'unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. La fonte dei dati sul numero di chiamate da vittime al 1522 è Istat.

Foto: Jason Leung (unsplash) - Licenza

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