Lo sciopero dei riders a Bologna Gig economy
Una mobilitazione nata dal basso, che ha riscoperto pratiche di autorganizzazione del passato riproponendole in forme nuove.
giovedì 29 Marzo 2018 | Cultura del dato
Abbiamo intervistato Nicola, laureando all’Università di Bologna e rider per Glovo. Nicola è uno dei partecipanti al primo sciopero metropolitano dei rider di Bologna.
Ci ha raccontato perché tra febbraio e marzo 2018, con l’arrivo del grande freddo e di abbondanti nevicate, i riders hanno deciso di interrompere le consegne: una grande nevicata ha fatto loro comprendere quanto la sicurezza personale sia precaria. I fattorini bolognesi hanno quindi deciso di scioperare perché il rischio di impresa in queste piattaforme non sia completamente sulle spalle dei lavoratori.
L’intervista a Nicola
Ciao Nicola, ci puoi raccontare che tipo di rider sei e come hai iniziato?
Sono stato assunto con Glovo appena la piattaforma è sbarcata in questa città. Ho iniziato a lavorare banalmente perché stavo finendo l’università, sto per laurearmi, e avevo bisogno anche di un lavoro per arrotondare un po’. Pensavo di lavorare una ventina di ore la settimana, l’equivalente di un part time, per portare a casa qualche soldo. Parallelamente, visto che partecipo ad un progetto di rivendicazione dei diritti, ho capito che in questo lavoro c’erano molti problemi.
Com’è nata l’idea dello sciopero di Bologna?
Ci sono state diverse tappe, diversi momenti di rivendicazione. Il primo è stato spontaneo, il 13 novembre, con la grande nevicata di Bologna, e riguardava le condizioni di dignità del lavoro, la sicurezza, e sollevava anche se indirettamente il tema della mancanza dell’assicurazione INAIL. La natura del contratto prevede che non siamo considerati lavoratori subordinati, ma indipendenti e quindi non abbiamo contributi o assicurazione. Nessun diritto di questo tipo è tutto scaricato su di noi il rischio d’impresa di queste piattaforme.
Perché avete deciso di coinvolgere il livello metropolitano?
Lo abbiamo chiamato metropolitano perché lavoriamo sulla città ed è nella città che dobbiamo avere diritti perché la città e il nostro posto di lavoro coincidono. Per questo abbiamo chiamato in causa il Comune: deve fare la sua parte. Con le piattaforme così non si può andare avanti vanno stabilite un minimo di regole comuni: contratti dignitosi, salario di un certo tipo, non a cottimo, e tutte le misure per le assicurazioni. Chiediamo una contrattazione e una sperimentazione metropolitane. Sono piattaforme che alla città chiedono tanto, ma alla città non restituiscono niente.
Quali sono le prossime tappe? Ci saranno altri scioperi?
C’è un tavolo che è agli esordi tra le piattaforme e il Comune. Il Comune ha detto di essere dalla nostra parte, ma deve dimostrarlo. Nel tavolo con le piattaforme verranno presi provvedimenti e costruiti strumenti amministrativi, si deve trovare un modo per regolamentare questo settore. Noi faremo pressioni sulle piattaforme affinché si siedano al tavolo e affinché ritornino sui loro passi rispetto ad alcune scelte. Per esempio Glovo ha diminuito la paga da 6.40€ netti a 4.40€ netti e introduce un regime parallelo di pagamento a consegna ovvero ha spostato sul cottimo il modello di retribuzione. Sarà tutto a cottimo presto, lo hanno già annunciato. C’è poi un problema sulla natura del lavoro: non è lavoro autonomo, noi siamo lavoratori subordinati dipendenti che devono avere dei diritti.
Siete in rete con le altre esperienze nazionali ed europee?
Abbiamo un dialogo con le esperienze torinesi e milanesi sul suolo italiano. Siamo poi in una chat europea e abbiamo seguito vari tipi di esperienze, come chi sta provando a creare una cooperativa che metta in rete i riders superando la logica della territorialità per discutere dei diritti. Siamo in dialogo con tutte queste realtà, ma quello che l’esperienza ci ha insegnato è che per ogni rivendicazione è necessario ripartire dai propri posti di lavoro e dai lavoratori.
Avete un appuntamento fisso o un luogo di ritrovo?
No, è importante vederci di persona e avere una sorta di dopo lavoro per riscoprire anche per riscoprire pratiche di autorganizzazione della classe che ci sono state in passato, nella storia del movimento cooperativo, e che vogliamo riproporre in forme nuove. Le riunioni si fanno dopo i turni quindi in tardo orario serale. Nella complessità dello scenario decidiamo gli appuntamenti di volta in volta per riunirci.
Stiamo sperimentando tante nuove forme di organizzazione nella speranza che possano poi portare dei risultati concreti; finora abbiamo ottenuto una grande visibilità, grande simpatia da parte dell’opinione pubblica, del comune, un grande interessamento generale, però i risultati non sono ancora stati concreti, purtroppo. Questo è un settore del tutto deregolamentato dove prevale l’economia selvaggia, e noi la vogliamo regolamentare.
Intervista e Foto credit: Valentina Bazzarin