Non sono emergenza, le parole e i numeri del disagio giovanile #conibambini

Per evitare un racconto aneddotico sulla condizione degli adolescenti serve partire dai dati e dalle definizioni corrette di tendenze e fenomeni. Parole e numeri per mettere a fuoco la loro condizione dopo la pandemia, nell’ambito della campagna di Con i Bambini “Non sono emergenza”.

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Durante l’emergenza Covid il tema del disagio giovanile è tornato all’ordine del giorno. Tuttavia il dibattito si è sviluppato in modo molto spesso frammentario, aneddotico, non alimentato con dati certi.

Del resto, nell’affrontare la questione, il primo ostacolo è proprio la possibilità di reperire informazioni qualificate, strutturate e di qualità sulla condizione di ragazze e ragazzi dopo il Covid attraverso i dati.

Ancora più che in altri ambiti, il panorama informativo e la discussione sul disagio giovanile si caratterizza per l’elevata infodemia. Un neologismo inserito dalla Treccani proprio nel pieno dell’emergenza sanitaria, definibile come

(…) circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabilI

Poche definizioni potrebbero descrivere meglio lo stato attuale della discussione sul tema. Sui media, dai giornali alla televisione, così come sui social, abbondano pareri, servizi, interviste, numeri. Eppure è difficile arrivare a una sintesi, o perlomeno a un quadro chiaro su cosa stiano vivendo giovani e giovanissimi.

Non è certo un problema la varietà di punti di vista diversi sull’argomento, che anzi sono preziosi e contribuiscono al confronto critico e, potenzialmente, a un’interpretazione condivisa su cosa stia davvero accadendo nel paese.

Il problema casomai è che questo dibattito è in corso, almeno tra i non addetti ai lavori, dai cittadini ai media generalisti, ma anche tra gli stessi decisori, quasi prescindendo dai dati. Oppure avvalendosi di cifre parziali, informazioni non strutturate che servono più a supportare l’aneddotica personale che a offrire un ragionamento compiuto e costruttivo.

Nell’ambito della campagna Non sono emergenza dell’impresa sociale Con i Bambini, proponiamo alcune delle parole chiave e i dati per comprendere meglio la situazione in corso tra bambini e ragazzi, dopo la pandemia.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat, Iss, Transcrime, Invalsi
(pubblicati: lunedì 18 Novembre 2024)

La necessità di un approccio basato sui dati

Terminata l’emergenza Covid, alcuni dati possono aiutarci a capire cosa sia successo in quella fase storica e quali siano oggi le ripercussioni sulla vita dei più giovani. La didattica a distanza e le chiusure prolungate delle scuole hanno sicuramente avuto un impatto in termini di apprendimenti, pagato soprattutto dagli studenti svantaggiati.

Il report completo

Molti indicatori segnalano un aumento del disagio tra i più giovani.

Le difficoltà economiche di alcuni nuclei familiari hanno spinto all’aumento dell’incidenza della povertà minorile, ai suoi massimi nella serie storica recente. In parallelo con la rarefazione delle relazioni sociali, il benessere psicologico è diminuito, specialmente tra le ragazze, così come sono aumentati i casi di disturbi alimentari e altri comportamenti a rischio.

E tuttavia non tutti i segnali sono negativi, se si guarda alla capacità dei giovani di mobilitarsi su temi che hanno a cuore e di impegnarsi in modo organizzato per essere agenti di cambiamento nel mondo in cui vivono. Se c’è un problema nella condizione attuale di bambini e ragazzi, e sicuramente c’è, non sarà un approccio emergenziale, dettato da una logica catastrofista, a risolverlo. Solo interventi sociali e politiche pubbliche costruite con il coinvolgimento attivo dei più giovani, e indirizzate alle loro necessità ed esigenze, potranno farlo.

Cosa raccontano i dati a disposizione

Nel giugno dell’anno scorso, un’indagine demoscopica promossa da Con i Bambini e Demopolis ha fatto emergere come il 54% degli adolescenti intervistati ritenga di non essere capito dagli adulti. Un’opinione peraltro condivisa dal 45% dei genitori.

Questa tendenza porta a interrogarsi sui fattori che ne stanno alla base, con particolare attenzione al disagio vissuto da bambini e ragazzi durante e dopo la pandemia. Un disagio che è innanzitutto di natura sociale ed economica: secondo le stime di Istat, pubblicate il 17 ottobre scorso, quasi il 14% dei minori nel 2023 si è trovato in povertà assoluta. Ovvero l’incidenza più elevata della serie storica dal 2014, a seguito della revisione metodologica avvenuta negli ultimi anni. Dopo la pandemia, i bambini e ragazzi che vivono in famiglie in povertà assoluta sono arrivati a sfiorari gli 1,3 milioni.

1,29 milioni di minori in povertà assoluta nel 2023. Il 13,8% del totale.

Tuttavia sarebbe riduttivo affrontare la questione solo dal punto di vista della deprivazione materiale, senza andare alle radici educative, culturali, sociali, psicologiche che ne sono alla base. Dimensioni che spesso sono anche collegate tra loro.

Disagio giovanile e apprendimenti degli studenti

In termini educativi, gli anni di pandemia si sono segnalati per un calo netto negli apprendimenti. Nel 2022 quasi uno studente su 10 (9,7%) in quinta superiore si è trovato in dispersione implicita, vale a dire nella situazione di chi, pur portando a termine gli studi, lo fa senza aver raggiunto competenze di base adeguate.

Una crescita significativa rispetto a prima della pandemia: gli alunni in dispersione implicita erano il 7% nel 2019. Il fenomeno ha riguardato soprattutto gli studenti svantaggiati: gli alunni con alle spalle una famiglia in condizione medio-bassa sono passati da una dispersione implicita dell’8% nel 2019 al 12% nel 2022.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Invalsi
(pubblicati: mercoledì 6 Luglio 2022)

Con il superamento dell’emergenza, i livelli di dispersione implicita sono tornati a calare: nei test del 2024, per la prima volta, si è assistito a una contrazione che porta la quota di studenti di quinta con apprendimenti insufficienti nelle materie di base sotto i livelli pre-Covid (6,6%).

Un dato molto significativo e positivo, che però non deve far dimenticare gli sforzi ancora necessari per recuperare la situazione precedente la pandemia.

Si trovano in dispersione scolastica implicita gli studenti che, pur completando il percorso scolastico, non hanno competenze di base adeguate. Un problema grave, anche se meno visibile dell'abbandono scolastico. Vai a “Dispersione scolastica implicita”

Se si isolano gli studenti di quinta superiore con apprendimenti insufficienti in italiano, quasi il 44% non raggiunge livelli adeguati, e di questi il 18,7% si attesta su risultati del tutto inadeguati. In matematica queste due percentuali salgono rispettivamente al 47,5% e al 25,5%.

64% gli studenti di V superiore con risultati adeguati in italiano nel 2019. Oggi sono il 56%.

In queste due materie chiave la situazione pre-Covid non appare ancora pienamente recuperata, e andrà monitorata nel tempo. Nel 2019 risultati positivi erano raggiunti dal 64% dei ragazzi di quinta in italiano e dal 61% in matematica. Nel 2024 l’incidenza è invece rispettivamente al 56% e al 52%, nonostante il miglioramento rispetto agli anni più acuti della pandemia.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Invalsi
(pubblicati: giovedì 11 Luglio 2024)

Relazioni sociali e benessere psicologico

Una crisi educativa con conseguenze quindi di lungo periodo, che può essere il sintomo di qualcosa di più profondo nel benessere sociale e psicologico di ragazze e ragazzi. Nella pandemia, complice la necessità di mantenere il distanziamento fisico, sono emersi alcuni segnali di rarefazione nei rapporti sociali, anche e soprattutto tra i giovani.

Durante il Covid, in base alle rilevazioni svolte dall’istituto nazionale di statistica, il 50,5% degli alunni delle scuole secondarie ha riportato una diminuzione nella frequentazione di amiche e amici, con un parallelo incremento nell’utilizzo di chat e social media per comunicare (in crescita per circa il 70% dei ragazzi).

Tendenze che l’emergenza in realtà sembra solo aver accelerato, e che spesso erano già in corso da prima della pandemia. Nel 2005, la quota di giovani che dichiaravano di vedere tutti i giorni i propri amici era pari al 70,8% tra 11 e 14 anni e al 72,2% tra 15 e 17. Nel 2019, quindi già prima del Covid, la quota era crollata rispettivamente al 34,3% e al 39,1%.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(consultati: giovedì 2 Maggio 2024)

L’emergenza ha ovviamente contribuito ad aggravare il fenomeno: nel 2021 la percentuale di giovani 11-14enni che vedono gli amici tutti i giorni è scesa 18,4% (20,4% tra i 15-17enni). Ma, in uscita dall’emergenza, la quota non appare comunque recuperata rispetto al pre-pandemia: nel 2023 dichiarano di vedere tutti i giorni i propri amici il 27,6% degli 11-14enni e il 30,1% dei 15-17enni. Sicuramente molto lontano rispetto al 70% della generazione precedente.

Oltre alla rarefazione nelle relazioni sociali, durante la pandemia si sono registrati diversi segnali di peggioramento nel benessere psicologico tra i minori. Rispetto a questa tendenza, va segnalato il grande sforzo della comunità scientifica nell’indagarne le cause, specialmente dopo la pandemia.

Va in questa direzione la ricerca promossa dall’autorità garante per l’infanzia (Agia) insieme all’istituto superiore di sanità (Iss), da cui emergono una serie di fattori di rischio, sia endogeno (relativo al minore e alla sua famiglia) che esogeno (riferiti al contesto in cui vive).

 

Fattori di rischio per il benessere psico-fisico dei minori nel Covid

Fattori endogeni
Fattori esogeni
Esperienze di isolamento, malattia grave e/o decesso di uno o più familiari Assenza di un approccio di sistema (mancato coordinamento delle reti sociali, sanitarie ed educative)
Situazioni familiari complesse (es. separazione dei genitori, assenza o iperprotezione di figure adulte di riferimento, sovraccarico lavorativo dei genitori o lavori ad alto rischio COVID) Mancanza di una rete di servizi sociosanitari ed educativi sufficientemente efficace (es. tra servizi di neuropsichiatria infantile, psicologia, scuola e sociale)
Problematiche psicologiche e neuropsichiatriche preesistentiInadeguatezza dei sistemi di accoglienza e cura
Stress correlato alla richiesta di prestazioni scolastiche elevateProlungati periodi di chiusura della scuola
Difficoltà nella gestione temporale della routine quotidiana Percezione costante di incertezza e sfiducia nelle istituzioni
Utilizzo inadeguato e/o eccessivo dei dispositivi tecnologici per le attività didattiche e le relazioni sociali (es. eccesso di social network)Mancanza di zone verdi e chiusura prolungata di luoghi di aggregazione e/o socializzazione
Mancata conoscenza della lingua italiana da parte dei migranti e delle loro famiglieConfusione generata dalla comunicazione da parte dei mass media
Mancanza o inadeguatezza di risorse informatiche Mancanza o inadeguatezza di risorse informatiche
Episodi di violenza sui minorenni e violenza assistitaFragilità socio-culturali ed economiche (es. posizioni lavorative precarie o perdita del lavoro dei genitori)
Fonte: Iss e Agia, Pandemia, neurosviluppo e salute mentale di bambini e ragazzi (2022)

 

Mostra alcune avvisaglie in questa direzione anche l’indice di salute mentale raccolto da Istat per gli indicatori del Bes (benessere equo e sostenibile).

Monitorare la salute mentale delle persone, e in particolare dei minori, non è semplice con i dati oggi disponibili. Alcuni indicatori tuttavia segnalano un peggioramento in seguito alla pandemia nel benessere psicologico degli adolescenti. Vai a “Salute mentale”

Si tratta di una misura di disagio psicologico che fa sintesi, attraverso le risposte a questionari specifici, delle quattro dimensioni principali della salute mentale (ansia, depressione, perdita di controllo comportamentale o emozionale e benessere psicologico). L’indice di sintesi varia tra 0 e 100, con migliori condizioni di benessere psicologico al crescere del valore dell’indice.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (Bes)
(pubblicati: venerdì 12 Aprile 2024)

Anche in questo caso, con la pandemia si registra un peggioramento. L’indice di salute mentale medio tra i 14-19enni nel 2021 è calato a 70,3, dal 73,9 registrato nella rilevazione dell’anno precedente. Nel 2022 l’indice di salute mentale tra gli adolescenti è tornato a migliorare (72,6), per poi scendere nuovamente l’anno successivo (71 nel 2023). Con un divario di genere che vede un minor benessere psicologico per le ragazze (con un indice di 67,4 per le giovani di 14-19 anni nel 2023) rispetto ai ragazzi (74,3).

71 l’indice di salute mentale tra 14-19enni nel 2023. In peggioramento rispetto al 2022: i livelli pre-Covid non sono ancora recuperati.

Ulteriori segnali di malessere psicologico emergono dalle rilevazioni di Iss, l’istituto superiore di sanità, nell’ambito dell’indagine sulle dipendenze comportamentali nella generazione Z (i nativi digitali, nati tra la fine degli anni ’90 e il 2012). Uno studio, basato su un campione rappresentativo della popolazione scolastica 11-17 anni, per rilevare la prevalenza di alcuni disturbi in seguito all’emergenza Covid-19.

Da questa indagine è emerso che si possono stimare in 65.967 gli studenti tra 11 e 17 anni con tendenza all’isolamento sociale nei sei mesi precedenti la rilevazione. Ovvero l’1,6% del totale, sulla base del campione rappresentativo della popolazione studentesca selezionato da Iss.

Sempre attraverso questo campione, si può stimare che quasi 100mila ragazze e ragazzi (il 2,5% degli 11-17enni) presentino caratteristiche compatibili con la presenza di una dipendenza da social media. Una tendenza correlata con le difficoltà nell’instaurare una relazione costruttiva con genitori e adulti. Tra gli 11-13enni a rischio dipendenza da social, il 75,9% dichiara una difficoltà comunicativa con i genitori. La quota scende al 40,5% in chi non presenta il rischio.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Iss
(ultimo aggiornamento: giovedì 2 Maggio 2024)

Basandosi sul campione rappresentativo, si possono stimare in quasi mezzo milione i ragazzi a rischio di internet gaming disorder, ovvero “l’uso persistente e ricorrente di Internet per partecipare a giochi, spesso con altri giocatori, che porta a compromissione o disagio clinicamente significativi per un periodo di 12 mesi”.

Mentre oltre 370mila studenti 11-17enni (il 9,3% del campione) potrebbero presentare un grave rischio di dipendenza da cibo.

La dipendenza da cibo è un comportamento alimentare che implica il consumo eccessivo di alimenti specifici, altamente appetibili (cioè cibi ricchi di sale, grassi e zuccheri) in quantità superiori al fabbisogno energetico omeostatico (Iss). Vai a “Disturbi alimentari e food addiction”

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Iss
(pubblicati: giovedì 11 Gennaio 2024)

Altri dati, come quelli provenienti dagli accessi al pronto soccorso del ministero della salute, mostrano che tali problematiche potrebbero aver avuto una crescita nel corso della pandemia. Nel 2021 sono stati 2.778 gli accessi in pronto soccorso di minori per sindromi e disturbi da alterato comportamento alimentare, in crescita del 10,5% rispetto al 2019.

Un problema soprattutto tra le ragazze: l’incidenza femminile tra gli under 25 è infatti passata dal 61,1% del 2019 al 72,7% del 2021. Tra gli adolescenti maschi invece è più frequente l’abuso di alcol. Il 29,3% dei giovani di 14-17 anni nel 2022 ha presentato almeno un comportamento a rischio nel consumo, contro il 25% delle coetanee.

Discriminazioni, bullismo e fenomeni di violenza

In un paese con 1,3 milioni di minori residenti con background migratorio, un altro aspetto indagato dopo lo scoppio dell’emergenza è stato l’impatto di fenomeni di discriminazione e bullismo, grazie alle rilevazioni specifiche di Istat.

Ragazze e minori stranieri sono più spesso vittima di bullismo e cyberbullismo.

Durante la fase più critica della pandemia (marzo 2020-estate 2021), circa 1 studente su 10 delle scuole secondarie ha dichiarato di aver subito episodi di bullismo o cyberbullismo, con un’incidenza che sale tra i soggetti a maggior rischio di esclusione, come i minori stranieri. La quota raggiunge infatti il 18,2% tra bambini e ragazzi con cittadinanza non italiana. Anche le ragazze sono tra i soggetti più a rischio di episodi di bullismo: il 3,9% delle studentesse dichiara di essere stata presa di mira con racconti di storie diffamatorie sul proprio conto. Molto più dei maschi (2,3%).

Oltre alle discriminazioni, un altro aspetto su cui la pubblicistica si è molto concentrata nel corso della pandemia è quello dei fenomeni di violenza, dal tema delle baby-gang a quello più generale della criminalità giovanile. Tra i riferimenti più autorevoli sul tema, spicca un’indagine ad hoc realizzata da Transcrime, centro di ricerca interuniversitario delle università Cattolica di Milano, Alma mater studiorum di Bologna e dell’università di Perugia, in collaborazione con i ministeri di giustizia e interno. Quella analisi ha sottolineato, molto chiaramente, come la questione rimanga al centro del dibattito pubblico pur in mancanza di “una chiara definizione di questo fenomeno e dati sistematici che permettano di monitorarlo”.

La bande giovanili (o baby gang) sono gruppi con profili diversi, composti in prevalenza da giovani di 15-17 anni. Un tema affrontato molto spesso nel dibattito pubblico in mancanza di dati strutturati sul fenomeno. Vai a “Baby gang”

Questo studio esplorativo offre però alcune coordinate: dall’origine delle baby gang (o bande giovanili) in situazioni di disagio familiare o sociale, alla prevalenza del fenomeno nel centro-nord, con gruppi di “circa 10 ragazzi, tra i 15 e i 17 anni, spesso italiani, senza un’organizzazione strutturata”. Un identikit che rimanda più spesso a fenomeni di mancata integrazione, che a legami con la criminalità organizzata. Ma che comunque si caratterizza per violenze e reati, spesso ai danni di coetanei, e non va quindi sottovalutato. Anche per questo è interessante ricostruire la tendenza del fenomeno prima e dopo il Covid.

+73,8% i giovani presi in carico dagli Ussm (uffici di servizio sociale per i minorenni) come appartenenti a gang giovanili tra 2019 e 2021.

Su questo aspetto, il 46% delle questure e dei comandi dei carabinieri che hanno registrato la presenza di gang giovanili hanno anche indicato un aumento del fenomeno negli ultimi cinque anni. Tra 2019 e 2021 sono cresciuti del 73,8% i giovani presi in carico dagli Ussm (uffici di servizio sociale per i minorenni) come appartenenti a gang giovanili: da 107 a 186. Una variazione che però, come per gli altri aspetti passati in rassegna finora, sarebbe semplicistico ricondurre esclusivamente alla pandemia. Basti pensare che la presenza di gang giovanili è aumentata durante la crisi pandemica in meno di 1 provincia su 3. Questa localizzazione, piuttosto concentrata in termini territoriali, rende necessari ulteriori approfondimenti sul fenomeno e sulle sue radici.

Perché un approccio non emergenziale

Il presupposto per affrontare questi fenomeni è l’utilizzo di definizioni e dati strutturati, purtroppo non sempre disponibili. Si tratta dello strumentario minimo per rifuggire approcci ideologici che mortificano questioni tanto complesse come quelle viste fin qui: dai ritardi educativi al disagio psicologico, dalla crisi nei rapporti sociali all’emergere di fenomeni di violenza o di comportamenti a rischio.

Il pericolo di ridurre a una caricatura la condizione giovanile è molto elevato. Anche alla luce del fatto che i giovani hanno dimostrato di essere anche altro, in questi anni. Tra 15 e 24 anni, quasi 2 giovani italiani su 3 si dichiarano molto preoccupati per il cambiamento climatico; molto più della media della popolazione, pari al 53%. La quota di 18-19enni che hanno preso parte ad associazioni ecologiche, per i diritti civili e per la pace è superiore rispetto al resto della popolazione (2,4% contro una media del 1,5%). E appare in crescita la quota di chi, tra 14 e 17 anni, presta attività gratuite in associazioni di volontariato (6,8% nel 2023, in aumento rispetto al 6,4% dell’anno precedente e al 3,9% del 2021).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(consultati: venerdì 14 Giugno 2024)

Al netto di problemi e difficoltà, come abbiamo visto in parte anche pre-esistenti alla pandemia, oltre 6 giovani su 10 tra 14 e 19 anni esprimono un giudizio positivo sulle proprie prospettive future nei prossimi 5 anni. Un altro, ennesimo, segnale di come servano ulteriori dati, più strutturati, per comprendere fino in fondo la condizione giovanile. Ma soprattutto di come solo partendo dal punto di vista di ragazze e ragazzi sia possibile migliorare la loro condizione e quella del paese.

Foto: Riccardo Venturi

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