Un modo interessante per valutare l’incidenza del ricorso alla fiducia sull’azione del governo è quello di analizzare i provvedimenti per cui questa viene posta in entrambi i rami del parlamento. In questo caso infatti le possibilità di intervento in assemblea per i parlamentari si riducono al lumicino, limitandosi alle dichiarazioni di voto. Per quanto riguarda il governo Meloni sono 19 i provvedimenti che rientrano in questa categoria. Stesso numero anche per il governo Draghi mentre l’esecutivo Renzi è quello che fa registrare il dato più alto con 22 (da ricordare però che quest’ultimo è rimasto in carica 33 mesi, il governo Draghi 20, quello di Meloni per il momento circa 18). Con specifico riferimento all’esecutivo attualmente in carica tra le leggi approvate con doppio voto di fiducia soltanto una non è una conversione di un decreto legge: si tratta della legge di bilancio per il 2023. Per quanto riguarda i decreti, le motivazioni che hanno portato il governo a porre la fiducia in entrambe le camere sono essenzialmente 2. La necessità di evitare che questi non vengano convertiti dal parlamento entro 60 giorni e quindi decadano, oppure l’importanza politica del provvedimento in esame. Da questo punto di vista è interessante osservare che dei 19 provvedimenti approvati con doppia fiducia durante il mandato del governo Meloni, 11 sono atti chiave. Si tratta di Ddl particolarmente significatici o per l’importanza dell’atto o per la rilevanza del tema in discussione. Tra i più recenti possiamo citare i Dl Pnrr quater, milleproroghe 2024 e immigrazione e sicurezza.
L’esecutivo può decidere di mettere la fiducia su un disegno di legge per velocizzarne l’approvazione. I voti di fiducia nascevano per ricompattare la maggioranza in situazioni eccezionali ma sono diventati sempre più frequenti. Quando vengono posti in entrambe le camere le possibilità di intervento per i parlamentari sono praticamente nulle.
FONTE: elaborazione e dati openpolis