Definizione
Si parla di disparità di genere quando un genere è sotto rappresentato e/o svantaggiato nei diversi contesti e ambiti della vita pubblica, sociale, economica, politica, nonché nella sfera privata e quotidiana. Questo fenomeno colpisce, anche se in misure e modalità diverse, le donne di tutto il mondo, lungo le varie fasi della loro vita.
In Italia i divari educativi, culturali, sociali ed economici tra uomo e donna sono particolarmente evidenti rispetto al resto d’Europa. A partire da scuola e università, dove le ragazze sono sotto rappresentate nei percorsi di studio tecnici e scientifici anche a causa di pregiudizi di genere. Una disparità che ha conseguenze nel mondo del lavoro, visto che si tratta di ambiti che generalmente offrono più opportunità e carriere meglio remunerate.
Molti altri fattori poi impattano sulla sfera occupazionale, a partire dal pregiudizio che inquadra la donna come principale se non unica responsabile del lavoro di cura. Tale paradigma è non solo causa, ma anche conseguenza della scarsa offerta di servizi educativi per la prima infanzia nel nostro paese, che si attesta ancora al di sotto dell’obiettivo europeo del 33%. La carenza di asili nido non permette a entrambi i genitori di coniugare vita lavorativa e vita familiare e questo spinge uno dei due – quasi sempre la madre – a rinunciare del tutto o in parte alla propria occupazione. Ma per ogni donna, anche senza figli, questo preconcetto sul lavoro di cura influisce a priori sulle possibilità di essere scelta per un impiego rispetto a un uomo, a parità di competenze. O sulla possibilità di guadagnare lo stesso stipendio dei colleghi maschi, a parità di ruolo (gender pay gap). Tendenze che per quanto possano dipendere anche dai singoli datori di lavoro, non vengono ostacolate dalla legge dello stato. Basti pensare che le quote di genere si applicano solo in limitati settori e contesti e che il congedo genitoriale obbligatorio è ancora gravemente impari (10 giorni per i padri, 5 mesi per le madri).
È dunque un insieme di elementi – pregiudizi sociali e culturali e carenze a livello normativo e di offerta dei servizi – a limitare la partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Tanto che l’Italia è il paese dell’Unione europea con il tasso di occupazione femminile più basso, pari al 55%.
Sempre restando nella sfera lavorativa, ci sono poi altre disparità di genere, che vanno oltre l’aspetto quantitativo della presenza di donne occupate e sono alimentate da un ennesimo preconcetto. Quello che vuole le posizioni di potere come appannaggio maschile. In Italia tale squilibrio è evidente in modo trasversale in molti settori, dalla politica ai vertici delle aziende, dal mondo accademico alla magistratura. Si tratta del cosiddetto soffitto di cristallo (glass ceiling), cioè la barriera che rende molto più difficile per una donna, anche una volta entrata nel mondo del lavoro, avanzare nella propria carriera fino a raggiungere i ruoli chiave. Con chiare conseguenze non solo a livello di potere decisionale e riconoscimento, ma anche sul piano salariale e quindi di indipendenza economica.
Infine, la conseguenza ultima ed estrema della posizione sociale di inferiorità in cui la donna è generalmente inquadrata – dentro e fuori dal nostro paese – è la violenza di genere. Dagli atti fisici a quelli psicologici, gli episodi di violenza avvengono principalmente nella sfera domestica. Nella gran parte dei casi sono parenti, partner o ex partner della vittima a commetterli, spesso a fronte di tentativi di emancipazione da parte delle vittime. E quando le violenze sfociano nell’omicidio vengono definite “femminicidi“, cioè l’uccisione di una donna in quanto tale. Tali condizioni non sono episodiche ma intrinseche e strutturali in una società dove la disparità di genere è un vero e proprio paradigma storico e fondante.
Dati
Sono perciò diversi gli ambiti della vita quotidiana in cui le disuguaglianze tra uomo e donna pesano a sfavore della seconda. L’istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) ne ha individuati 6: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute. Sulla base di indicatori rappresentativi di queste aree, ogni anno l’istituto elabora l’indice per la disuguaglianza di genere, affidando a ogni paese un punteggio da 1 a 100.
L’Italia è sotto la media Ue per uguaglianza di genere
L’indice sull’uguaglianza di genere 2022 nei paesi dell’Unione europea
Ogni anno l’istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) realizza un indice che misura le condizioni di vita delle donne nei paesi dell’Unione europea. Il gender equality index si basa su diversi indicatori relativi a 6 ambiti specifici, i cosiddetti domini:
- lavoro, per cui viene analizzato per esempio il tasso di occupazione e la durata media della vita lavorativa;
- denaro, che comprende indicatori quali lo stipendio medio e gli individui a rischio povertà;
- conoscenza, che si basa sui dati relativi al titolo di studio;
- tempo, sulle abitudini degli individui rispetto al lavoro di cura e alla socialità;
- potere, che racchiude dati sulla presenza di uomini e donne ai vertici della sfera politica, economica e sociale;
- salute, che valuta sia le possibilità di accesso ai servizi sanitari, sia lo stato di salute degli individui.
FONTE: elaborazione openpolis su dati Eige
(ultimo aggiornamento: lunedì 24 Ottobre 2022)
È evidente dalla mappa la spaccatura tra paesi del nord e dell’ovest da un lato, che registrano punteggi da 70 in su e paesi dell’est dall’altro, collocati perlopiù tra i 50 e i 60 punti. Con ampio distacco il paese che risulta avere il maggior livello di parità è la Svezia, a 83,9 punti, ben 30,5 in più rispetto alla Grecia, ultima a 53,4. Per quanto riguarda il sud dell’Unione la situazione è evidentemente più eterogenea. In questo quadro l’Italia con 65 punti su 100 si colloca poco al di sotto della media europea pari a 68,6.
Anche analizzando separatamente i 6 ambiti, il nostro paese mantiene all’incirca la stessa posizione, leggermente inferiore alla media europea. Fanno eccezione la sanità, dove il dato italiano (89) è in linea a quello medio (88,7) e in negativo la sfera lavorativa, dove l’Italia è ultima tra i 27 paesi Ue, con 63,2 punti su 100.
Analisi
Come abbiamo visto, le disparità di genere in Italia sono particolarmente incisive nella sfera lavorativa. Soprattutto rispetto al panorama europeo. Come abbiamo visto in precedenza, queste condizioni sono il risultato sia dei preconcetti sul ruolo delle donne nella società, sia della carenza di norme e servizi adeguati a facilitare la loro vita lavorativa.
Almeno a livello normativo, negli anni sono stati messi in atto dei tentativi per ridurre tali divari. Parliamo delle agevolazioni per l’assunzione di donne attraverso sgravi fiscali ai datori di lavoro. E delle già citate quote di genere, che si limitano però solo alle società a controllo pubblico e quotate in borsa, escludendo gran parte degli enti privati. Per quanto utili, questi strumenti non bastano senza un aumento parallelo dei servizi e delle politiche sociali a supporto di donne e famiglie. E parallelamente è necessario cambiare il paradigma culturale su cui si fonda la disparità di genere, proprio perché in futuro non ci sia bisogno di strumenti a tutela di quella che non è neanche una minoranza, anzi, tutto il contrario.
Infine, va sottolineato che il discorso sui divari di genere è molto più ampio delle disparità citate. E riguarda non solo le donne biologiche, ma tutte quelle persone che si identificano in un genere diverso da quello di nascita, o che non si identificano in nessuno o in entrambi i generi maschile e femminile. Individui che in ogni caso subiscono discriminazioni a causa della loro identità di genere, solo perché fuoriesce dagli schemi culturali e sociali dettati da quello stesso paradigma che vuole le donne biologiche e tutte queste identità in una posizione di inferiorità.
A fronte di un fenomeno così complesso, pieno di sfaccettature, trasversale e radicato, non esiste una soluzione pronta, tantomeno una rapida. L’unica possibilità è impostare nel tempo diverse strategie parallele a livello politico, normativo, educativo, culturale e nell’offerta di servizi. Per contrastare e cambiare il modello di società patriarcale che persiste ancora oggi in troppi paesi del mondo, compreso il nostro.