Definizione
Le quote di genere legislative sono strumenti che stabiliscono per legge una quota massima di presenza di entrambi i generi nelle liste dei partiti che si candidano alle elezioni. L’obiettivo è garantire un’equa rappresentanza di uomini e donne tra i candidati per favorire una maggiore parità di genere all’interno degli organi legislativi.
The core idea behind quota systems is to recruit women into political positions and to ensure that women are not only a few tokens in political life.
Alle quote imposte solo per legge si aggiungono in molti casi le cosiddette quote volontarie, stabilite dai singoli partiti attraverso i propri statuti e regolamenti. Sono degli impegni che i partiti prendono per includere equamente donne e uomini, sia tra le liste elettorali (nell’ottica di un ulteriore sforzo rispetto alla legge nazionale), sia tra i ruoli di partito. In alcuni casi sono delle raccomandazioni, in altri casi fungono da prescrizioni.
Dei 27 paesi Ue (28 considerando ancora il Regno Unito) sono 7 gli stati dove sono previste sia quote legislative che volontarie, 3 quelli dove sono in vigore solo quote legislative, 13 con solo quote volontarie e 5 dove finora non è stato attuato alcun sistema di quote.
Dati
Restringendo l’analisi alle quote di genere relative alle elezioni degli organi legislativi nazionali, è importante sottolineare che non in tutti i paesi europei sono in vigore leggi di questo tipo. E laddove ci sono, funzionano in modi diversi.
Le quote di genere in Europa
Le diverse tipologie di quote di genere che sono state adottata in Europa da ciascun paese.
Le quote legislative prevedono obbligatoriamente, attraverso la legge elettorale, una quota minima di presenza di entrambi i generi nelle liste dei partiti candidati. Questa può essere applicata per entrambe le camere parlamentari, oppure per una sola. In questo caso è stata considerata “quota legislativa” ove era presente almeno in una delle due camere. Per quota volontaria si fa riferimento ai provvedimenti interni ai partiti, non gestiti a livello governativo ma stabiliti o all’interno del partito oppure come scelta informale a titolo volontario. Queste quote, a meno che non dichiarato esplicitamente, non sono soggette a pena e variano da partito a partito.
FONTE: elaborazione openpolis dati Idea (International institute for democracy and electoral assistance)
(ultimo aggiornamento: mercoledì 20 Gennaio 2021)
Danimarca, Finlandia, Estonia, Lettonia e Repubblica Ceca non hanno alcun tipo di quote di genere, né legislative né volontarie all'interno dei partiti. Al contrario di questi, vi sono 7 paesi che hanno messo in atto entrambe le quote, ossia Croazia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Slovenia e Spagna.
Ad esempio in Francia la legge elettorale fissa, per la camera bassa, una differenza massima del 2% tra numero di uomini e di donne candidati all'interno di una lista, pena una sanzione economica (art. 300). Mentre nelle liste per la camera alta, la differenza tra il numero di candidati di ciascun sesso non deve essere superiore ad uno. Per quanto riguarda le quote volontarie invece, l'unico partito ad averle applicate tra quelli presenti in parlamento è quello socialista, che prevede una quota del 50% di entrambi i generi nelle proprie liste.
Nel caso della Spagna, la legge elettorale stabilisce una presenza minima del 40% (e massima del 60%) sia di uomini che di donne nelle liste elettorali (art. 44 bis). Sono inoltre ben 7 i partiti che in Spagna hanno adottato un proprio sistema di quote volontarie. Tra questi il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe) che aveva imposto il 40% di presenza di entrambi i generi già nel 1997, 11 anni prima dell'introduzione delle quote legislative.
Anche l'Italia dispone di quote sia legislative che volontarie. La legge elettorale, in un modo simile a quello spagnolo, fissa al 60% la percentuale massima di candidati dello stesso genere nelle liste elettorali, sia di camera che di senato. Se questo criterio non viene rispettato, le liste in questione non vengono ammesse (art. 1 comma 10 e). Tra i partiti rappresentati in parlamento, l'unico ad avere istituito al suo interno quote volontarie è il Partito democratico, che prevede il 50% di presenza femminile nelle proprie liste elettorali.
I 3 paesi dove sono invece in vigore quote legislative ma non volontarie sono Polonia, Portogallo e Belgio. I primi due hanno quote minime di rappresentanza di entrambi i generi, rispettivamente il 35% in Polonia e il 33% in Portogallo. In Belgio invece, la legge elettorale stabilisce che la differenza tra il numero di candidati di ciascun genere non deve essere superiore a uno.
Gli altri paesi, invece, non hanno introdotto alcuna quota legislativa, lasciando ai singoli partiti la regolamentazione in merito. Tra questi la Germania, dove 4 dei partiti tedeschi presenti in parlamento hanno istituito delle quote volontarie. Si tratta del Partito socialdemocratico tedesco (Spd), La sinistra (Die Linke), I verdi (Die Grünen) e l'Unione cristiano-democratica (Cdu). In particolare, i verdi hanno stabilito un'alternanza di genere anche nelle posizioni chiave, stabilendo la presenza di due portavoce (un uomo e una donna) per gruppo parlamentare. La Cdu invece, partito della cancelliera in carica Angela Merkel, ha imposto la presenza femminile di un terzo sia nelle liste che all'interno del partito.
Oltre alla Germania, gli altri paesi dove sono in vigore solo le quote volontarie dei partiti sono Austria, Bulgaria, Cipro, Ungheria, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Svezia e Regno Unito.
Analisi
Le quote di genere sono uno strumento legislativo utile per incrementare la presenza femminile all'interno dei parlamenti europei. Una iniziativa che i dati confermano aver funzionato. Le donne all'interno dei parlamenti europei sono infatti passate da una media del 20,9% nel 2004 al 31,7% nel 2019. Ovvero proprio nell'arco temporale in cui molti paesi Ue hanno messo in atto leggi sulle quote di genere, compresa l'Italia (legge 165 del 2017). Per quanto la strada verso il pieno raggiungimento della parità sia ancora lunga, questo aumento è comunque un segnale positivo del cambiamento in corso.
Tuttavia le questioni in sospeso sono diverse. In primis è necessario considerare che il sistema di quote non sembra per ora aver influenzato positivamente l'accesso per le donne a quelle che possono essere considerate le posizioni chiave del potere legislativo. Basti pensare che ad esempio in Italia sono attualmente solo 10 su 28 le donne a capo di commissioni parlamentari e 5 su 17 le presidenti dei gruppi parlamentari di camera e senato.
Inoltre, è importante analizzare anche la rappresentanza femminile nei governi. Complessivamente, come per i parlamenti, anche negli esecutivi europei si è registrato in media un aumento di donne in ruoli governativi, passate dal 20,4% nel 2004 al 31,4% nel 2019. Tuttavia anche in questo caso, l'accesso ai ruoli di maggior potere sembra ancora limitato. Ne è un esempio sopra tutti il fatto che solo 5 dei 27 capi di governo dei paesi Ue siano donne.
Complessivamente possiamo quindi direi che la rappresentanza femminile nel sistema politico europeo è ancora molto inferiore rispetto a quella maschile. Segnale che, per quanto siano state prese misure relative alle quote di genere, queste faticano a produrre un effettivo cambiamento. Un passaggio che può avvenire solo attraverso un percorso culturale e sociale che rivaluti il ruolo della donna e che le permetta di avere le stesse opportunità degli uomini di raggiungere i vertici del potere politico.