Definizione
La firma del presidente della repubblica su un disegno di legge approvato dal parlamento rappresenta il passaggio finale dell’iter legislativo. In base all’articolo 73 della costituzione infatti le disposizioni contenute in una legge entrano effettivamente in vigore dopo la promulgazione da parte del Quirinale e la conseguente pubblicazione in gazzetta ufficiale.
Questo atto presidenziale tuttavia non rappresenta una mera formalità e non può essere dato per scontato. Stando ai poteri che gli sono formalmente attribuiti dalla costituzione infatti, il presidente può rifiutarsi di firmare un Ddl e rinviarlo alle camere.
1. Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione.
2. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata.
Tale prerogativa però non può essere reiterata. Infatti se il parlamento decide di riapprovare il testo senza modifiche il presidente della repubblica è tenuto a firmare e promulgare il Ddl.
Il capo dello stato inoltre può intervenire sui decreti legge (Dl). La costituzione infatti prevede che il governo possa emanare questo tipo di atti solo in casi di necessità e urgenza. Nel caso in cui il decreto del governo non risponda a questi requisiti quindi il presidente della repubblica può rifiutarsi di firmare.
Il Quirinale può esercitare la propria influenza anche attraverso messaggi informali.
Ma l’influenza del Quirinale sul processo legislativo può avvenire anche attraverso strumenti cosiddetti di moral suasion, sia formali che informali. In base all’articolo 87 della costituzione infatti il capo dello stato può inviare messaggi alle camere. Inoltre, almeno a partire dal settennato di Pertini, è diventata prassi comune (ormai generalmente accettata) che il presidente della repubblica ricorra alle cosiddette “esternazioni“. Ovvero dichiarazioni pubbliche con cui il capo dello stato esprime la sua posizione.
Le esternazioni del capo dello stato.
A queste poi si deve aggiungere il dialogo riservato tra il presidente e gli altri attori istituzionali. D’altronde il capo dello stato è il garante della costituzione ed è quindi suo dovere esercitare una funzione di equilibrio. In particolare se questo è utile a ridurre le tensioni tra poteri e organi dello stato.
Dati
Analizzando i dati delle ultime 7 legislature possiamo osservare che i 4 presidenti della repubblica che si sono succeduti (Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella) hanno rinviato alle camere complessivamente 12 disegni di legge. Il picco si è registrato nella XIV legislatura (2001-2006) con 7 Ddl rinviati. Nella scorsa legislatura invece non si sono registrati casi di questo tipo, così come nei primi mesi di quella attuale.
Nella XIV legislatura rinviati 7 disegni di legge alle camere
I Ddl rinviati alle camere dai presidenti della repubblica a partire dalla XIII legislatura (1996-2021)
FONTE: elaborazione openpolis su dati parlamento.
(ultimo aggiornamento: lunedì 15 Novembre 2021)
Nello stesso periodo invece non è mai successo che un presidente della repubblica si rifiutasse di firmare un decreto legge. Tuttavia è accaduto in più di un’occasione che esecutivo e parlamento venissero “richiamati” all’ordine su questo tema. Anche tramite lettere pubbliche che anticipavano un eventuale rinvio nel caso in cui il governo non si fosse persuaso ad accogliere le osservazioni del colle.
Il nuovo richiamo di Mattarella a governo e parlamento sulla
decretazione d’urgenza.
Analisi
La costituzione non prevede limiti specifici al potere di intervento del presidente della repubblica sul processo legislativo. Data la struttura del nostro ordinamento però è generalmente ritenuto che il rinvio di un Ddl alle camere non possa essere motivato da “ragioni politiche”. Una parte della dottrina infatti definisce il ruolo del presidente della repubblica come di “estrema garanzia”. In base a questa impostazione le fattispecie in cui il capo dello stato può esercitare le sue prerogative sarebbero nel caso in cui una legge non abbia le necessarie coperture di bilancio oppure risulti manifestamente incostituzionale. Questa interpretazione è stata esplicitamente teorizza dal presidente Ciampi.
[…] secondo la Costituzione, la decisione, la valutazione, il giudizio sulla rispondenza alla stessa da parte delle leggi compete alla Corte costituzionale. Il Presidente della Repubblica, solo in caso di manifesta non costituzionalità delle leggi, rinvia quelle leggi al parlamento, che può riapprovarle e in quel caso il capo dello Stato è tenuto a promulgarle.
Questa dottrina sembra essere stata accolta anche dai successori Ciampi (Napolitano e Mattarella). Sempre durante la presidenza Ciampi si sono poi intensificati gli interventi informali del presidente su alcuni aspetti dei Ddl ancora in discussione in parlamento. Una prassi con cui si cerca di evitare un rinvio formale alle camere, che rappresenta un passaggio comunque traumatico da un punto di vista istituzionale.
Il rinvio presidenziale delle leggi nell’esperienza
Talvolta il capo dello stato ha anche tenuto a motivare la decisione di promulgare una legge. Un passaggio non richiesto dalla costituzione legato alla volontà di spiegare all’opinione pubblica le motivazioni di questa decisione.
Esternazioni di questo tipo però presentano anche dei rischi e per questo, in alcune occasioni, sono state criticate da ampia parte della dottrina. È il caso ad esempio del messaggio con il quale il presidente Napolitano ha accompagnato la promulgazione del cosiddetto lodo Alfano. In quell’occasione infatti il capo dello stato precisò che, a suo parere, la norma avrebbe rispettato i limiti posti in precedenza dalla corte costituzionale. Un’affermazione che secondo molti rappresenta un’indebita influenza nei confronti dei giudici delle leggi.
Il presidente deve bilanciare attentamente la sua azione a seconda dei casi e del contesto politico.
Le varie forme di moral suasion, formali o informali, sono state quindi utilizzate in modo diverso, dai vari presidenti, a seconda della fase politica. Insomma, come per le altre funzioni presidenziali, anche questo potere può estendersi o restringersi a seconda della fase politica e di come il capo dello stato ritiene di doverla gestire.
Una rinuncia a interventi di questo tipo, in momenti di particolare frizione istituzionale, può portare infatti a un peggioramento della situazione. Inoltre l’azione del presidente può evitare che leggi manifestamente incostituzionali entrino e restino in vigore fino a un’eventuale intervento della consulta.
Al contrario un interventismo eccessivo da parte del capo dello stato può esso stesso produrre una crisi istituzionale tra il Quirinale e la maggioranza. Una situazione che produrrebbe l’effetto indesiderato di rendere meno efficaci le pratiche di moral suasion. Oppure, come abbiamo visto, comportamenti di questo tipo potrebbero porre la corte costituzionale nella spiacevole situazione di dover contraddire il capo dello stato. Una situazione che avrebbe inevitabilmente l’effetto di screditare il ruolo del presidente.