Perché è necessario superare il decreto sicurezza Migranti
Le criticità del decreto sicurezza e perché è necessario riportare il sistema di accoglienza al suo scopo originale, quello di facilitare l’integrazione di richiedenti asilo e rifugiati in un quadro di legalità e vera sicurezza.
giovedì 30 Gennaio 2020 | Migranti
L’approvazione del decreto sicurezza da parte del primo governo Conte ha modificato drasticamente il fronte interno delle politiche di immigrazione, quello dell’accoglienza dei migranti in Italia.
Tra i principali effetti interni del decreto emergono in particolare l’eliminazione della protezione umanitaria, la modifica del sistema Sprar in Siproimi, la cancellazione dei servizi di integrazione nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) e la riduzione degli importi previsti per la gestione di questi centri. Tutte politiche con un chiarito effetto comunicativo che tuttavia non contribuiscono in alcun modo all’integrazione di persone che, si voglia o meno, vivono nel nostro paese.
Per parlare di questi temi saremo ospiti della commissione affari costituzionali della camera nel corso di un’audizione in cui esporremo i risultati delle nostre analisi sul sistema di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in Italia. Un’occasione per esprimere, come membri della società civile, le nostre considerazioni ai deputati della commissione in un quadro di confronto trasparente che speriamo rappresenti l’avvio di un’interlocuzione utile e costruttiva.
Una grave carenza di dati
Da alcuni anni abbiamo iniziato a occuparci del sistema di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in Italia, in collaborazione con Action Aid. Un progetto con cui cerchiamo di portare dati ed elementi fattuali in un dibattito che invece ne è gravemente carente, nonostante la rilevanza politica e mediatica che ha avuto in questi anni.
Il dibattito sull’immigrazione è viziato dalla pressoché totale assenza di dati pubblici riutilizzabili.
Se la discussione politica sul tema dell’accoglienza soffre così spesso della carenza di dati e di informazioni certe, è in buona parte a causa dell’effettiva assenza di dati pubblici su questa materia elaborabili in modo indipendente. Una carenza di cui soffre la società civile ma anche il mondo accademico e quello politico.
E questo avviene nonostante il ministero dell’interno abbia da tempo istituito un Sistema informatico di gestione dell’accoglienza. I dati presenti in questo database però non vengono rilasciati dal ministero, nonostante le nostre reiterate richieste di accesso agli atti.
L’unico momento in cui vengono fornite alcune di queste informazioni è in occasione della pubblicazione della Relazione sul funzionamento del sistema di accoglienza, presentata ogni anno al parlamento dal ministero dell’interno. La relazione tuttavia contiene solo dati aggregati e presenta diversi problemi che limitano fortemente le possibilità di analisi. Senza contare che quest’anno è stata pubblicata con 4 mesi di ritardo.
Il sistema di accoglienza prima del decreto sicurezza
Proprio a causa della difficoltà di accesso a questi dati, per pubblicare il nostro primo rapporto sui centri di accoglienza in Italia, abbiamo dovuto fare ricorso a fonti alternative. In particolare abbiamo analizzato le informazioni presenti nella banca dati dei contratti pubblici di Anac e abbiamo rivolto a tutte le prefetture d’Italia una richieste di accesso agli atti.
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Dall’analisi del sistema di accoglienza prima dell’introduzione del decreto sicurezza emergevano molte criticità. Dall’opacità dei criteri di assegnazione degli appalti, alla mancanza di un effettivo sistema di controllo sui servizi erogati nei centri, fino alla concentrazione dei migranti in grandi strutture di accoglienza con un evidente impatto negativo sul tessuto sociale che ospita questi centri oltre che ovviamente per gli ospiti.
Nonostante molte difficoltà, prima del decreto sicurezza il modello di riferimento era quello dell’accoglienza diffusa.
Elementi che però emergevano in maniera disomogenea sul territorio nazionale. Così mentre questi effetti risultavano più evidenti in un caso come quello di Trapani, a Torino si osservava una realtà diversa che tendeva, se pur con dei limiti, a favorire un sistema di accoglienza diffusa, sul modello Sprar, anche per i centri di accoglienza straordinaria (Cas).
Nonostante le difficoltà la tendenza tra 2017 e 2018 è stata comunque quella di una maggiore distribuzione dei migranti in piccoli centri. L’accoglienza diffusa era in effetti un modello a cui facevano riferimento ormai da tempo diversi documenti ufficiali di indirizzo.
Le principali criticità del decreto sicurezza
Con il decreto sicurezza si è assistito però a un netto cambio di rotta. Un cambiamento, di cui ci siamo occupati nel nostro ultimo rapporto sul tema, che tende chiaramente a demolire l’accoglienza diffusa per andare verso un modello che non prevede meccanismi di integrazione e tende a privilegiare le grandi strutture di accoglienza.
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Il primo effetto del decreto è stato quello di ridurre drasticamente la platea di persone che hanno diritto all’accoglienza. Innanzitutto attraverso l’eliminazione della protezione umanitaria, che sta portando inevitabilmente a una crescita fuori misura del numero di migranti irregolari presenti nel nostro paese. E in secondo luogo attraverso la trasformazione del sistema Sprar in Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati) che, tra le altre cose, ha comportato l’esclusione dei richiedenti asilo dalla seconda accoglienza. Compromettendo la possibilità che questi riescano effettivamente a integrarsi nel nostro paese.
La crescita del numero di migranti irregolari in Italia
Il numero di irregolari in Italia è in costane crescita dal 2013. L'abolizione della protezione umanitaria comporterà inevitabilmente una crescita ulteriore di questo trend.
Nella simulazione si parte dalle stime dell’Ismu degli irregolari che arrivano a 530mila in gennaio 2018. Sono ipotizzati costanti il numero di sbarchi, dei rimpatri e le percentuali dei dinieghi (stimati 77mila dinieghi su 96mila domande esaminate – comprese le pendenti – nel 2019 e 56mila su 70mila nel 2020). Infine si considera che i 40mila permessi umanitari concessi tra 2017 e 2018 vadano progressivamente in scadenza e si suppone che i dinieghi diventino definitivi trasformandosi in situazioni di irregolarità.
FONTE: Elaborazione openpolis su dati Ismu e Ministero dell'Interno
(ultimo aggiornamento: venerdì 11 Ottobre 2019)
La reazione degli enti gestori
Nei Cas sono stati eliminati i servizi d'integrazione e i costi sono stati ridotti talmente tanto da rendere insostenibile l'accoglienza diffusa.
Per coloro che invece hanno ancora diritto all'accoglienza almeno nei Cas è intervenuto il nuovo capitolato di gara a complicare la situazione. Nei nuovi centri prefettizi infatti non sono più previsti servizi di integrazione. In questo modo i richiedenti asilo sono condannati ad aspettare l'esito della loro domanda, in un'attesa vuota e senza significato. Inoltre il nuovo capitolato è intervenuto sui costi, riducendoli drasticamente. A farne le spese sono stati in particolare i progetti di accoglienza diffusa che diventano a questo punto economicamente insostenibili.
Sia per i motivi economici che per ragioni etiche legate all'assenza dei servizi di integrazione, si è sollevata fin da subito la protesta degli enti gestori. Una protesta che si è però espressa in modi diversi e ha portato a risultati differenti a seconda del modello di accoglienza che negli anni si era sviluppato in ciascun territorio. Alcuni hanno deciso di non partecipare ai nuovi bandi, magari presentando dei ricorsi, altri hanno deciso di partecipare cercando di integrare i servizi mancanti con risorse proprie o alternative, altri ancora si sono adattati al nuovo modello.
In alcuni casi le rinunce dei gestori hanno messo in difficoltà le prefetture. In altri casi invece questo problema non si è verificato. Ovunque però il nuovo capitolato disincentiva l'accoglienza diffusa favorendo i grandi centri e attirando grandi gestori.
Un'occasione persa
Se si considera il bassissimo numero di nuovi sbarchi in Italia nel 2019 e la conseguente riduzione del numero di persone accolte è evidente che ci troviamo a maggior ragione di fronte a un'occasione mancata. Anche se non possiamo considerare i flussi degli anni precedenti come un'emergenza o un'invasione, è chiaro che un momento come questo sarebbe stato l'ideale per riformare il sistema basandosi su un'analisi delle best practice a livello nazionale. Mettendo quindi il sistema in condizione di gestire nei prossimi anni il fenomeno migratorio non con un approccio emergenziale ma in maniera ordinata e razionale.
Anche il tema del presunto risparmio che si otterrebbe dal nuovo capitolato appare molto debole. Il costo di un servizio che offre esclusivamente vitto e alloggio agli ospiti dei centri non può essere messo a confronto con un costo un po' più alto che prevede servizi di integrazione, insegnamento della lingua e avviamento al lavoro. Il primo caso infatti rappresenta una spesa improduttiva, mentre il secondo è un investimento che favorisce sia i richiedenti asilo e rifugiati sia le comunità che li ospitano e più in generale il tessuto produttivo e sociale del nostro paese.
Foto Credit: Mediterranea Saving Humans