Perché l’istruzione equa è il primo strumento di giustizia sociale #conibambini

Per ridurre le disuguaglianze sociali serve intervenire su quelle educative. Oggi chi nasce in famiglie con basso titolo di studio è più probabile che abbandoni. Ciò significa non poter migliorare la propria condizione: un livello di istruzione più basso si associa a una minore occupabilità.

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Numerose analisi hanno mostrato come uno dei fattori principali di disuguaglianza sia l’accesso all’istruzione. Si tratta infatti di un aspetto che più di altri tende a rendere maggiormente ereditaria la condizione socio-economica di partenza.

Un fenomeno da cui il nostro paese non è affatto esente. Nel contesto dei paesi europei l’Italia è uno degli stati dove restano più ampie le disuguaglianze sociali e l’istruzione in questa tendenza ha un ruolo di tutto rilievo.

Un aspetto che contribuisce significativamente alla persistenza delle condizioni sociali ed economiche dei figli rispetto a quelle dei padri è l’istruzione (…). Nonostante il ruolo rilevante svolto dall’istruzione pubblica in Italia, la persistenza intergenerazionale nei livelli di istruzione continua ad essere elevata

In misura maggiore rispetto ad altri paesi europei infatti è forte la correlazione tra basso titolo di studio dei genitori e rischio abbandono precoce da parte dei figli. In media nei paesi Ocse nel 42% dei casi i figli di chi non ha il diploma non si diplomano a loro volta. Una quota che in Francia si attesta al 37% e in Germania scende al 32%, mentre nel nostro paese raggiunge il 64%.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Ocse
(ultimo aggiornamento: mercoledì 13 Giugno 2018)

Le implicazioni di questa tendenza sono fortemente negative. La dinamica per cui è proprio chi viene dalle famiglie più svantaggiate a lasciare la scuola prima del tempo è il fattore che rafforza, e rende ereditaria, una condizione di deprivazione.

La povertà educativa è la condizione in cui un bambino o un adolescente è privato del diritto all'apprendimento in senso lato, dalle opportunità culturali e educative al diritto al gioco. Povertà economica e educativa si alimentano a vicenda. Vai a "Quali sono le cause della povertà educativa"

Restare indietro sul versante educativo ha infatti conseguenze su tutto il percorso di vita successivo. Un'evidenza che i nuovi dati pubblicati da Istat sui ritorni occupazionali dell'istruzione, ovvero la possibilità di accesso al mercato del lavoro, mostrano con chiarezza.

Quanto incide l'istruzione sui ritorni occupazionali

I dati tratti da un'indagine di Istat pubblicata nel dicembre scorso consentono di ricostruire come un livello di istruzione più elevato si associ a un maggiore occupabilità e viceversa.

In presenza di un titolo di studio terziario (come la laurea) il tasso di disoccupazione si attesta al 5,1% e quello di inattività al 14,8%. In mancanza del diploma, con un titolo di studio al massimo secondario inferiore, tali quote salgono rispettivamente al 11,9% e al 41,3%.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: giovedì 23 Dicembre 2021)

Questa tendenza - qui visibile per la fascia tra 25 e 64 anni - è valida a maggior ragione per i più giovani. Ovvero per chi si affaccia oggi a un mercato del lavoro che richiede sempre più competenze. Specie dopo le crisi economiche che si sono susseguite negli ultimi decenni.

33,2% il tasso di occupazione nel 2020 tra i 18-24enni che in Italia hanno lasciato la scuola prima del tempo. Nel 2008 era il 51% (quasi 18 punti in più).

Lo mostra chiaramente il confronto tra i principali paesi Ue dal 2008 a oggi. In media tra i 27 stati membri, la quota di occupati tra i giovani di 18-24 anni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione è passata da 54,2% al 42,4%. Nel nostro paese il calo è stato ancora più netto. Se nel 2008 oltre la metà dei giovani italiani che avevano abbandonato la scuola era comunque occupato (51%), nel 2020 questa percentuale è scesa a circa uno su 3 (33,2%).

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat e Istat
(ultimo aggiornamento: giovedì 23 Dicembre 2021)

Solo in Spagna il calo è stato più marcato: oltre 23 punti dal 2008. Tuttavia è interessante osservare come tra i paesi presi in esame l'Italia sia quello dove nel 2020 il tasso di occupazione risulta più basso per chi è uscito dal sistema di istruzione e formazione.

Disaggregando questo dato per aree territoriali, si nota come questa tendenza sia particolarmente impattante nell'Italia meridionale. Nel mezzogiorno appena il 23,3% dei 18-24enni che hanno abbandonato la scuola e la formazione prima del tempo è occupato. Un dato in calo di quasi 12 punti rispetto al 2008.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: giovedì 23 Dicembre 2021)

Rispetto al 2008 è crollato il tasso di occupazione di chi abbandona precocemente.

Un altro elemento interessante è la contrazione dell'occupabilità di chi ha lasciato la scuola nel centro-nord. Nel 2008, agli inizi della crisi economica che ha segnato lo scorso decennio, oltre il 70% dei giovani che lasciavano la scuola nell'Italia settentrionale risultavano comunque occupati. Tendenza analoga nel centro Italia (64,1%). A distanza di oltre 10 anni, il tasso di occupazione tra i giovani che hanno abbandonato precocemente è crollato attorno al 40%.

42,5% il tasso di occupazione nel 2020 tra i 18-24enni del nord Italia che hanno lasciato la scuola prima del tempo. Nel 2008 era il 70,1%.

Questi dati evidenziano come l'accesso ai gradi più alti dell'istruzione sia la variabile cruciale per migliore la propria condizione socio-economica. Per questo spezzare il legame tra titolo di studio dei genitori e livello di istruzione dei figli è una sfida cruciale.

Il legame tra il titolo dei genitori e quello dei figli

Il punto di vista territoriale consente meglio di valutare quanto vi sia una "persistenza intergenerazionale" tra la condizione educativa degli adulti e quella dei più giovani.

Nelle regioni in cui la quota di adulti con diploma è più bassa gli abbandoni scolastici precoci sono più frequenti, e viceversa. Ad esempio, nel 2020 la quota di persone tra 24 e 64 anni con almeno il diploma era più bassa del 60% in 5 regioni: Calabria (54,9%), Campania (54,1%), Sardegna (53,9%), Sicilia (53%) e Puglia (51,9%). Si tratta anche dei territori con gli abbandoni più elevati.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: giovedì 31 Dicembre 2020)

Le uscite precoci dal sistema di istruzione e formazione dei residenti tra 18 e 24 anni si attestano infatti al 19,4% in Sicilia, al 17,3% in Campania, al 16,6% in Calabria, al 15,6% in Puglia. Al quinto posto la Sardegna, con una quota sensibilmente inferiore (12%, analoga a quella del Piemonte).

19,4% i giovani dai 18 ai 24 anni d'età che hanno abbandonato prematuramente gli studi in Sicilia (2020).

Anche a livello comunale tale relazione sembra emergere piuttosto chiaramente. Se si confronta l'indicatore degli adulti con diploma (stimato al 2015 nelle statistiche sperimentali di Istat) con le uscite precoci dei giovani dal sistema di istruzione (elaborato a partire dai dati dello scorso censimento) le due mappe appaiono complementari.

L’indicatore per valutare il livello di abbandono scolastico è quello di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione, rilevato da Istat in occasione dell’ultimo censimento. Calcola la percentuale di giovani di età compresa tra 15 e 24 anni che hanno al massimo la licenza media e che non frequentano un corso regolare di studi né svolgono formazione professionale, ed è elaborata sui dati del censimento (2011). La percentuale di adulti diplomati è relativa al 2015 ed è calcolata sugli iscritti in anagrafe di 25-64 anni che hanno completato almeno la scuola secondaria di II grado.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: sabato 31 Dicembre 2011)

I comuni che nella prima mappa assumono un colore verde più tenue, segnalando un basso livello di adulti diplomati, generalmente coincidono con quelli che, nella seconda mappa, si presentano con un rosso più scuro. Ovvero dove è più elevata la quota di ragazzi che hanno lasciato la scuola prima del tempo.

I divari educativi sono anche divari territoriali.

Alla luce di queste ricorrenze territoriali, intervenire sui fattori che oggi rendono così legato l'accesso all'istruzione dei genitori con quello dei figli è una sfida essenziale. A partire dall'accesso a un'istruzione equa e di qualità per tutti, a prescindere dalla condizione di partenza.

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I contenuti dell'Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l'impresa sociale Con i Bambini nell'ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell'articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l'obiettivo di creare un'unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. Le fonti dei dati sulle uscite precoci dal sistema educativo (censimento 2011) e sulla percentuale di adulti diplomati (2015) sono Urban Index e Istat (statistiche sperimentali). I dati a livello regionale, sempre di fonte Istat, sono invece relativi al 2020 per entrambi gli indicatori.

Foto: Flickr trustypics - Licenza

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