Quali sono i fattori di esclusione sociale tra bambini e ragazzi #conibambini
Con la pandemia, la quota di minori a rischio povertà o esclusione sociale in Italia è cresciuta dal 27,1% del 2019 a quasi il 30% del 2021. Approfondiamo quali fattori incidono di più su questo dato. In ultima analisi il livello di istruzione assume ancora un ruolo importante.
martedì 30 Agosto 2022 | Povertà educativa
In momenti di crisi, l’esclusione sociale è un rischio concreto per i bambini che vivono nelle famiglie con maggiori difficoltà economiche. Una condizione dovuta a tanti fattori – economici, lavorativi, educativi, sociali – e proprio per questo molto difficile da misurare. Tuttavia i dati di Eurostat consentono di stimarne l’impatto nei singoli paesi.
Nel 2020, primo anno della pandemia, in Italia il 28,9% dei bambini e dei ragazzi con meno di 18 anni si è trovato in condizione di rischio povertà o di esclusione sociale. Con una crescita di quasi 2 punti rispetto al 2019, quando si era attestata al 27,1%.
I dati rilasciati nei giorni scorsi da Eurostat, pur non presenti per tutti i paesi e ancora provvisori per il nostro, segnalano un ulteriore incremento nel corso del 2021: 29,7%. Ovvero 2,6 punti percentuali in più rispetto a prima dell’arrivo del Covid-19. Se confermata dai dati definitivi, si tratterebbe di una delle crescite più consistenti a livello Ue durante l’emergenza.
+2,6 l’aumento, in punti percentuali, della quota di minori a rischio povertà o esclusione sociale in Italia tra 2019 e 2021.
Al di là di questo peggioramento, va detto che l’Italia da anni si caratterizza per un dato strutturalmente superiore rispetto alla media europea (23,8% nel 2020, a fronte del 28,9% italiano) e agli altri maggiori stati dell’Unione. Tanto nel 2019 quanto nel 2020, il nostro paese si colloca al quinto posto per incidenza, dopo Romania, Bulgaria, Spagna e Grecia.
Nell’Europa meridionale più minori a rischio povertà ed esclusione sociale
Percentuale di residenti 0-17 anni a rischio povertà o esclusione sociale (2020)
FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: lunedì 20 Giugno 2022)
Tale posizionamento al quinto posto peraltro si conferma anche nel 2021, sebbene vada specificato che i dati relativi a quest'ultimo anno - appena rilasciati da Eurostat - sono provvisori per il nostro paese e non comprendono ancora alcuni paesi maggiori come la Francia e stati dell'est tra cui la Polonia.
Pur con queste cautele, emerge come nel nostro paese l'incidenza di bambini e ragazzi a rischio sia cresciuta di quasi 3 punti rispetto a prima dell'emergenza Covid: dal 27,1% del 2019 al 29,7% del 2021.
Un andamento del tutto coerente con quanto registrato anche dall'istituto di statistica nazionale. Abbiamo già avuto modo di approfondire come, sempre nel corso della pandemia, si sia raggiunto il massimo dal 2005 nella quota di minori in povertà assoluta.
I tanti fattori del rischio povertà o esclusione sociale
Rispetto all'incidenza della povertà assoluta, l'indicatore sul rischio povertà o esclusione sociale - messo a punto da Eurostat e revisionato nel corso del 2021 - offre uno sguardo diverso sulla condizione minorile dopo la pandemia.
Non considera esclusivamente la capacità di spesa della famiglia in cui vive il minore, ma anche altri fattori di disagio che è importante ricostruire, a maggior ragione dopo gli effetti dell'emergenza da Covid-19.
In particolare sono 3 le condizioni che possono portare al rischio di povertà o di esclusione, come vivere in una famiglia:
- a rischio di povertà;
- a bassa intensità di lavoro;
- in condizioni di severa deprivazione materiale.
In presenza di almeno una di queste situazioni, che come approfondiremo sono diverse anche se spesso collegate tra loro, la persona si trova a rischio povertà o esclusione sociale. Ciò significa che questo indicatore ci consente di ricostruire 3 aspetti differenti, che possono portare a una condizione di indigenza. Vediamo quali incidono di più per i bambini nel nostro paese e negli altri dell'Ue.
Quanti bambini vivono in famiglie a rischio povertà
Partiamo dal rischio povertà di bambini e ragazzi italiani ed europei. Si tratta di un indicatore di povertà relativa, che non va confuso con quello sulla povertà assoluta elaborato annualmente da Istat.
A differenza della povertà assoluta, in cui ricade chi non può permettersi un determinato paniere di beni essenziali, la povertà relativa viene calcolata rispetto al livello di redditi della popolazione di un paese.
Proprio per questo non viene definita assoluta, ma relativa: perché il reddito del singolo non viene confrontato con un certo livello di spesa ma con i redditi del resto della popolazione. Nello specifico, la soglia di povertà relativa utilizzata a livello Ue è un reddito inferiore del 60% a quello mediano.
26% i bambini e ragazzi con meno di 18 anni che in Italia vivono in famiglie a rischio povertà nel 2021.
I minori a rischio povertà nel nostro paese erano il 24,5% nel 2019, quota successivamente cresciuta al 25,1% nel primo anno di pandemia e al 26% nel 2021 (il dato più recente disponibile, anche in questo caso ancora provvisorio per l'Italia).
Nel 2020, ultimo anno per cui il confronto è possibile con tutti i paesi Ue, l'incidenza nazionale - pari a 1 minore su quattro - è stata molto superiore alla media Ue (18,9%). Una quota che colloca il nostro paese al quarto posto nel contesto europeo, dopo Romania, Bulgaria e Spagna.
In Italia oltre un minore su 4 è a rischio povertà
Percentuale di residenti 0-17 anni che vivono in famiglie a rischio povertà (2020)
FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: lunedì 20 Giugno 2022)
Nel confronto con i maggiori paesi dell'Unione, il dato nazionale risulta superiore rispetto a quelli rilevati per Germania (15,4%) e Francia (17,9%), sebbene inferiore - come già visto - a quello spagnolo (27,4%).
In generale, sono soprattutto i paesi del sud Europa quelli con più minori in famiglie a rischio povertà. Un dato che risulta ancora più articolato se si approfondisce l'analisi con il punto di vista offerto dagli altri 2 indicatori.
Quanti bambini vivono in grave deprivazione materiale
Il secondo elemento che può contribuire al rischio di esclusione sociale è una condizione di deprivazione materiale.
Viene misurata con un indicatore formulato a livello europeo (Smsd, che sta per severe material and social deprivation rate) e segnala la mancanza obbligata di alcuni elementi necessari per condurre una vita adeguata.
Circa il 7% dei bambini in Italia vive in una famiglia con grave deprivazione.
Parliamo della quota di popolazione che subisce una mancanza forzata di almeno 7 elementi di deprivazione su 13 (6 individuali e 7 relativi alla famiglia). Si tratta di aspetti della vita quotidiana come non potersi permettere spese impreviste, un pasto proteico ogni 2 giorni, sostituire vestiti logori, una settimana di vacanze lontano da casa e altri elementi che indicano una situazione di indigenza.
7,1% i bambini e ragazzi con meno di 18 anni che in Italia vivono in famiglie con grave deprivazione materiale nel 2021.
Nel 2021, i nuovi dati Eurostat - pur provvisori per il nostro paese - hanno confermato i livelli dell'anno precedente. Nel 2020 l'Italia si è infatti collocata al decimo posto, con un dato inferiore di un punto (7,1%) rispetto alla media Ue. Dalla mappa emerge chiaramente come la grave deprivazione materiale riguardi in modo massiccio soprattutto alcuni stati, con un'incidenza maggiore nell'Europa orientale.
I paesi balcanici sono quelli con più bambini in deprivazione materiale
Percentuale di residenti 0-17 anni che vivono in famiglie con grave deprivazione materiale (2020)
FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: lunedì 20 Giugno 2022)
In particolare la Romania, dove la quota di minori che vivono in famiglie con grave deprivazione sfiora il 30%, seguita da Bulgaria (24,8%), Grecia (19%) e Ungheria (16,6%).
Tra i maggiori paesi Ue, solo la Spagna raggiunge la doppia cifra (10,5%). Il dato della Germania, con il 5,9%, è più contenuto di quello italiano, mentre quello francese supera la media nazionale e quella Ue (8,4%).
Quanti bambini vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro
Vivere in una famiglia in cui nessuno lavora, oppure dove l'occupazione è discontinua, può rappresentare un forte fattore di esclusione sociale.
Per stimare questo tipo di informazione, attraverso l'indagine di Eurostat Eu-Silc, viene calcolato il tempo lavorato dai membri della famiglia tra 18 e 64 anni (escludendo gli studenti under-24 e i pensionati). Questo viene messo in relazione con quello potenzialmente lavorabile. Se il tempo lavorato è pari o inferiore al 20% di quello potenziale, la famiglia vive una situazione di bassa intensità di lavoro.
8,2% i bambini e ragazzi con meno di 18 anni che in Italia vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro nel 2021.
In Italia tra 2020 e 2021, i nuovi dati - pur provvisori - segnalano una crescita nella quota di minori in questa condizione. Nel primo anno di pandemia infatti il 7,4% dei minori viveva in una famiglia con bassa intensità di lavoro, un dato in linea con la media europea. Rispetto agli altri grandi paesi, la quota risulta più elevata sia in Germania (9,4%) che in Francia (7,9%), mentre è più contenuta in Spagna (7,1%).
In Irlanda oltre il 12% dei minori vive in una famiglia con bassa intensità di lavoro
Percentuale di residenti 0-17 anni che vivono in famiglie con bassa intensità di lavoro (2020)
FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: lunedì 20 Giugno 2022)
È interessante osservare le possibili relazioni con gli indicatori visti in precedenza, che insieme contribuiscono a formare il rischio povertà o esclusione sociale complessivo. Sebbene le famiglie con bassa intensità di lavoro incidano meno in molti paesi dell'Europa orientale, i livelli di deprivazione materiale in alcuni di questi sono comunque molto alti. Tratteggiando la situazione di famiglie dove - anche in presenza del lavoro - è più difficile permettersi alcuni beni di base.
I divari nell'istruzione si traducono in divari nei redditi e in un maggior rischio esclusione.
In questo quadro l'Italia si caratterizza per un trend specifico. Il fattore che più incide sull'esclusione sociale di bambini e ragazzi è il rischio povertà. Oltre un minore su 4 vive in una famiglia il cui reddito è inferiore del del 60% a quello mediano, contro una media Ue del 18,9% nel 2020.
Una tendenza che ricorda l'impatto dei divari nei livelli di istruzione nel determinare e rafforzare le disuguaglianze dei redditi. E con questo anche la condizione sociale della famiglia e dei minori che ci vivono.
Il ruolo dell'istruzione nell'esclusione sociale
Quanto il livello educativo incida sull'esclusione sociale è facilmente visibile se si confronta la quota di minori a rischio con il titolo di studio dei genitori.
Nei 3 maggiori paesi Ue, se i genitori hanno al massimo la licenza media, oltre la metà dei bambini e dei ragazzi si trova a rischio povertà o esclusione sociale. Una quota che nel nostro paese raggiunge il 54,5% (meno della Germania - 57,9% - ma più della Francia 51,9%).
Il rischio esclusione dei bambini aumenta al calare del titolo di studio dei genitori
Percentuale di minori a rischio povertà o esclusione sociale rispetto al livello di istruzione dei genitori (2020)
FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: lunedì 20 Giugno 2022)
In presenza del diploma da parte del genitore, nel nostro paese il rischio povertà o esclusione sociale dei bambini cala al 29,6%. E si riduce al 9,3% in presenza di un titolo terziario come la laurea. Una tendenza che ci ricorda come la povertà educativa sia uno dei fattori che più contribuiscono ad allargare le distanze sociali e i divari economici.
Perché l’istruzione equa è il primo strumento di giustizia sociale
Leggi.
Possiamo approfondire tale relazione anche a livello comunale, confrontando la quota di adulti laureati con l'indice di vulnerabilità sociale, due informazioni ricavate rispettivamente dal censimento permanente e dalla mappa dei rischi di Istat.
Nel mezzogiorno i comuni con meno adulti laureati e più vulnerabilità sociale
Ogni punto è un comune: in alto a sinistra quelli con più adulti laureati e bassa vulnerabilità sociale, viceversa in basso a sinistra
FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat (mappa rischi e censimento permanente)
(ultimo aggiornamento: giovedì 9 Dicembre 2021)
In termini di vulnerabilità sociale, il dato mediano dei comuni del mezzogiorno supera quota 100, è più contenuto nel centro Italia (99 circa) mentre non raggiunge quota 98 (come dato mediano) nei comuni settentrionali.
Rispetto alla quota di adulti (25-49 anni) con titolo di studio terziario, il dato raggiunge in media il 28,9% nel centro e circa il 27% nel nord. Mentre si attesta al 23,4% nel sud e al 21% nelle isole.
Bassa istruzione e rischio esclusione quindi non solo sono fenomeni fortemente associati. La loro incidenza sul territorio è fortemente variabile, rafforzando i divari territoriali esistenti.
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I contenuti dell'Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l'impresa sociale Con i Bambini nell'ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell'articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l'obiettivo di creare un'unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. La fonte dei dati sull'indice di vulnerabilità sociale e materiale è Istat, che ha elaborato l'indicatore con le informazioni del censimento 2011. Queste sono state riclassificate dall'istituto di statistica ai confini comunali 2018. Quella sulla percentuale di laureati è il censimento permanente (dati 2020).
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