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Io, mia Madre ed Eluana
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(14 ottobre 2008) - fonte: l'Unità - Anna Paola Concia - inserita il 14 ottobre 2008 da 31
Ho deciso di parlare delle vicende personali mie e di mia madre perché arrivano momenti nella vita in cui non riesci più a sopportare quello che viene detto intorno alla malattia, alla vita e alla morte. Soprattutto dal mondo politico. Che sentenzia e arringa su temi in cui dovrebbe usare cautela e rispetto. Quando si diventa persone pubbliche bisogna avere il coraggio di esporsi. E voglio avere questo coraggio, anche se mi costa: lo faccio perché so che mia madre ne sarebbe contenta. Avevo sedici anni quando mia madre si ammalò.
E ci fu un giorno in cui mio padre disse: «Ragazzi, vostra madre sta male e io mi devo occupare di lei. Voi dovete arrangiarvi». Da allora la mia vita, come quella dei miei fratelli, ha avuto un percorso diverso, è cambiata. È cambiato soprattutto il mio modo di rapportarmi alla vita, e alla morte che ogni giorno faceva capolino nelle nostre esistenze. Mia madre era gravemente malata di reni, e ha fatto la dialisi per 12 anni. Erano gli anni 80, quindi 28 anni fa: la scienza e la tecnologia avevano fatto passi avanti ma non come oggi. Più di tutto, ho in mente le tante emorragie di mia madre, i ricoveri urgenti, in cui sembrava che stesse morendo ogni volta, quell’angoscia quotidiana. Quella paura incombente della morte. Era necessario lasciare sempre un recapito, ovunque andassimo, perché allora non esistevano i cellulari. La morte di una donna così vitale e bella era qualcosa che poteva accadere ogni giorno. E noi, i suoi figli e suo marito, dovevamo saperlo, dovevamo farci i conti in ogni istante. Io ero la più rabbiosa tra i miei fratelli. Non accettavo di vederla così sofferente, mi uccideva, mi uccideva la vita. Dodici anni con una madre agonizzante sono tanti, tantissimi. Ti cambiano la vita. Anche quando quelle macchine la martoriavano, la violentavano, lei cercava di confortarci, dicendo che andava tutto bene. Ma tante volte mi ha detto anche «non ce la faccio più», tante, troppe volte. E io quelle volte le porto con me, come un racconto della vita e della morte, come un insegnamento. Mi aiuta a vivere e ad accettare la morte. Perché ho capito che anche vedendo nei nostri cari quella sofferenza, non la conosceremo mai fino in fondo nella loro tragicità: perché le sole certezze che possiamo avere riguardano noi, e come viviamo “noi” la loro sofferenza. Del loro calvario personale non sapremo mai tutto. E quindi non potremo mai sentenziare, ma solo ascoltare. Chi oggi sentenzia, sia laico o cattolico, non sa. Per questo dovrebbe tacere. Invito tutti quindi ad un gesto di silenzio, ad un gesto di rispetto e di pace che accompagni chi se ne vuole andare. Lei, mia madre, una notte ha detto basta, mio padre me lo ha raccontato. È morta tra le sue braccia, come era giusto che fosse. Non volevamo, ovviamente, che se ne andasse. Nessuno di noi vuole lasciare andare via quelli che amiamo. Il nostro dolore ci pare maggiore del loro. Siamo egoisti. Per questo ci accaniamo. Ma è un gesto di generosità e di rispetto verso la loro vita lasciarli andare, se così hanno deciso, o se irreversibilmente non hanno più il privilegio di poterlo decidere. E allora chiedo a tutti: lasciamo andare Eluana, per amore. Per generosità.
Fonte: l'Unità - Anna Paola Concia | vai alla pagina » Segnala errori / abusi